Roma – Il finanziamento soci frutto di ricavi occulti può essere legittimamente contestato dal Fisco al momento della restituzione al socio, a nulla rilevando che gli utili si siano formati in annualità mai accertate e non più accertabili.
Con la sentenza n. 18370 del 30 giugno 2021 la Corte di cassazione ha esteso anche ai finanziamenti soci i recenti principi affermati dalle Sezioni Unite (sentenza n. 8500 del 25 marzo 2021) secondo cui la decadenza in riferimento a componenti reddituali pluriennali va verificata in relazione alla singola dichiarazione.
Fatti di causa
La società A. Srl e il socio B detentore del 91% delle quote della medesima, impugnavano gli avvisi di accertamento relativi al periodo di imposta 2005, notificati nel 2010, con i quali, a seguito di pvc, venivano ripresi a tassazione quali redditi di impresa non contabilizzati gli importi percepiti dal socio a titolo di restituzione di finanziamento soci infruttifero, riqualificati quali utili distribuiti al socio.
Il conto finanziamento era stato incrementato con versamenti effettuati in contanti nei periodi di imposta 2003 e 2004 dal socio di riferimento, il quale aveva dichiarato nei suddetti periodi di imposta redditi incompatibili con i finanziamenti erogati. Secondo l’ufficio le disponibilità economiche apportate in società in conto finanziamento infruttifero non provenivano dal patrimonio del socio ma dissimulavano ricavi dell’attività di impresa non contabilizzati, prelevati – all’atto della restituzione al socio – non a titolo di restituzione dei suddetti finanziamenti, bensì quali utili, con conseguente recupero di Ires e Irpef.
Giudizio di merito
I contribuenti impugnavano i provvedimenti eccependo, tra gli altri motivi, la decadenza dall’azione accertatrice, atteso che l’erogazione dei finanziamenti risaliva alle annualità 2003 e 2004, non più accertabili al momento della notifica dell’avviso di accertamento.
La Ctp di Sondrio rigettava i ricorsi riuniti e la Ctr della Lombardia rigettava l’appello dei contribuenti nel presupposto che le attribuzioni patrimoniali a favore del socio, avvenute nell’esercizio 2005, formalmente erogate a titolo di restituzione di pregressi finanziamenti, conseguivano a ricavi non contabilizzati. Entrambi i giudici di merito ritenevano quindi che gli importi prelevati dal socio costituissero utili distribuiti, che concorrono alla formazione del reddito imponibile limitatamente al 40% del loro ammontare.
Decisione della Cassazione
La suprema Corte ha confermato la sentenza impugnata e ribadito il principio recentemente affermato dalle Sezioni Unite secondo cui, in caso di contestazione di una componente di reddito a efficacia pluriennale per ragioni che investano il fatto generatore della stessa, “la decadenza dell’amministrazione finanziaria dalla potestà di accertamento va riguardata, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 43 in applicazione del termine per la rettifica della dichiarazione nella quale il singolo rateo di suddivisione del componente pluriennale è indicato, non già in applicazione del termine per la rettifica della dichiarazione concernente il periodo di imposta nel quale quel componente sia maturato o iscritto per la prima volta in bilancio“.
Ai fini dell’esercizio del potere impositivo, il termine decadenziale va valutato con riferimento alla singola dichiarazione, a nulla rilevando l’inerzia dell’Amministrazione finanziaria relativamente al periodo di imposta nel quale si è verificato il fatto costitutivo della componente di reddito riportata in più esercizi.
In base a tale principio, in caso di distribuzione di utili derivanti da ricavi extracontabili, l’Amministrazione non è tenuta a rettificare anche la dichiarazione relativa al momento genetico in cui è stata contabilizzata la posta passiva relativa alla accensione del finanziamento, acquisendo la restituzione del fittizio finanziamento rilevanza reddituale al momento della distribuzione ai soci. La Corte ha specificato che, poiché costituiscono dividendi ai fini fiscali gli utili da partecipazione “distribuiti in qualsiasi forma e sotto qualsiasi denominazione” (articolo 47, comma 1, del Tuir pro tempore), ben possono gli stessi conseguire all’accertamento della sussistenza di una posta passiva fittizia. L’ampia formulazione semantica induce a una interpretazione estensiva, a comprova della diversità del dividendo civilistico (legato alla circostanza formale del prelievo degli utili risultanti da bilancio e oggetto di delibera assembleare) rispetto a quello fiscale, per il quale risulta indifferente lo strumento giuridico-formale in base al quale il socio ha conseguito l’utile.