“L’aumento delle temperature globali sta alimentando devastanti condizioni meteorologiche estreme in tutto il mondo, con impatti a spirale sulle economie e sulle società”, denuncia il rapporto. “Miliardi di ore di lavoro sono state perse solo a causa dell’aumento del calore. La temperatura globale media degli ultimi cinque anni è stata tra le più alte mai registrate“. In tutto ciò “c’è una crescente probabilità che nei prossimi cinque anni le temperature superino temporaneamente la soglia di 1,5 gradi al di sopra dell’era preindustriale”, avverte il rapporto. Alla COP21 di Parigi i governi hanno concordato di puntare a limitare l’aumento delle temperature a 1,5 gradi, dato che ciò ridurrebbe in misura significativa i rischi e gli impatti dei cambiamenti climatici, ma questa soglia appare a rischio.
“Questo rapporto è chiaro. Il tempo sta finendo – avverte Antonio Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite -. Affinché la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2021 a Glasgow, la COP26, sia un punto di svolta, abbiamo bisogno che tutti i Paesi si impegnino a zero emissioni nette entro il 2050, impegni sostenuti da strategie concrete a lungo termine e contributi nazionali rafforzati che collettivamente taglino le emissioni globali del 45% entro il 2030, rispetto ai livelli del 2010″.
“La portata dei recenti cambiamenti in tutto il sistema climatico nel suo insieme non ha precedenti in un lasso di tempo da molti secoli a molte migliaia di anni”, avverte il rapporto ‘United in Science 2021’, sottolineando come “anche con un’azione ambiziosa per rallentare le emissioni di gas serra, il livello del mare continuerà a salire e a minacciare le isole più basse e le popolazioni costiere di tutto il mondo“.
Questo è “un anno critico per l’azione per il clima – prosegue Guterres -, questo rapporto delle Nazioni Unite e delle organizzazioni partner scientifiche globali fornisce una valutazione olistica della più recente scienza del clima. Il risultato è una valutazione allarmante di quanto siamo lontani dal percorso” per affrontare e ridurre la magnitudo e i rischi legati all’emergenza climatica in atto.
“Abbiamo bisogno di una svolta nella protezione delle persone e dei loro mezzi di sussistenza, con almeno la metà di tutti i finanziamenti pubblici per il clima impegnati a costruire la resilienza e ad aiutare le persone ad adattarsi – auspica il Segretario Generale ONU – E abbiamo bisogno di una solidarietà molto maggiore, inclusa la piena realizzazione dell’impegno di lunga data sui finanziamenti per il clima per aiutare i Paesi in via di sviluppo a intraprendere azioni per il clima. Non c’è alternativa se vogliamo raggiungere un futuro più sicuro, sostenibile e prospero per tutti”.
“Siamo ancora notevolmente fuori programma per raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi – scrive Guterres nell’introduzione al rapporto ‘United in Science 2021 ‘- Quest’anno ha visto le emissioni di combustibili fossili rimbalzare, le concentrazioni di gas serra che continuano ad aumentare e gravi eventi meteorologici provocati dall’uomo che hanno colpito la salute, la vita e i mezzi di sussistenza in ogni continente. A meno che non ci siano riduzioni immediate, rapide e su larga scala delle emissioni di gas serra, sarà impossibile limitare il riscaldamento a 1,5 gradi, con conseguenze catastrofiche per le persone e per il pianeta da cui dipendiamo“.
Durante la pandemia “abbiamo sentito che dobbiamo ricostruire meglio per impostare l’umanità su un percorso più sostenibile ed evitare i peggiori impatti dei cambiamenti climatici sulla società e sulle economie”, rileva per parte sua Petteri Taalas, segretario generale dell’Organizzazione metereologica mondiale, ma “questo rapporto mostra che nel 2021, finora, non stiamo andando nella giusta direzione“.
Le concentrazioni dei principali gas serra – anidride carbonica (CO2), metano (CH4) e protossido di azoto (N2O) – “hanno continuato ad aumentare nel 2020 e nella prima metà del 2021”, segnala il Global Atmosphere Watch dell’Organizzazione metereologica mondiale, nell’ambito di ‘United in Science 2021’. Le riduzioni complessive delle emissioni nel 2020 “probabilmente hanno ridotto l’aumento annuale delle concentrazioni atmosferiche di gas serra a lunga vita, ma questo effetto è stato troppo piccolo per essere distinto dalla variabilità naturale”. La riduzione a breve termine del metano atmosferico (CH4) “potrebbe favorire il raggiungimento dell’accordo di Parigi” ma “ciò non riduce la necessità di riduzioni forti, rapide e durature della CO2 e di altri gas serra”.
Le emissioni di CO2 da fonte fossile – uso di carbone, petrolio, gas e produzione di cemento – “hanno raggiunto il picco di 36,64 gigatonnellate di anidride carbonica (GtCO2) nel 2019, seguite da un calo straordinario di 1,98 GtCO2 (5,6%) nel 2020 a causa della pandemia di Covid-19“, rileva il Global Carbon Project. Sulla base di stime preliminari, le emissioni globali nei settori dell’energia e dell’industria “erano già allo stesso livello o superiori a gennaio-luglio 2021 rispetto allo stesso periodo del 2019, prima della pandemia, mentre le emissioni del trasporto su strada sono rimaste inferiori di circa il 5%”. Escludendo il trasporto aereo e marittimo, le emissioni globali “in media in quei sette mesi erano circa agli stessi livelli del 2019”. Le recenti tendenze delle emissioni di protossido di azoto (N2O), il terzo gas serra più importante dopo CO2 e CH4, “superano i percorsi socioeconomici per i gas serra più intensi utilizzati per esplorare i futuri cambiamenti climatici”.
A cinque anni dall’adozione dell’Accordo di Parigi, “il divario di emissioni è più ampio che mai – avverte l’UNEP – le emissioni globali devono essere 15 gigatonnellate di anidride carbonica (GtCO2) inferiori rispetto agli attuali Contributi determinati a livello nazionale (Nationally Determined Contributions- NDC) implicati per un obiettivo di 2 gradi e 32 GtCO2 e inferiori per l’obiettivo di 1,5 gradi”. La crisi del Covid-19 “offre solo una riduzione a breve termine delle emissioni globali” e “non ridurrà in modo significativo le emissioni entro il 2030 a meno che i Paesi non perseguano una ripresa economica che includa una forte decarbonizzazione“. Il numero crescente di Paesi che si impegnano a raggiungere obiettivi di emissioni nette zero “è incoraggiante, con circa il 63% delle emissioni globali ora coperte da tali obiettivi”, tuttavia, “per rimanere fattibili e credibili, questi obiettivi devono riflettersi urgentemente nella politica a breve termine e in NDC significativamente più ambiziosi per il periodo fino al 2030”.
La temperatura superficiale media globale per il periodo 2017-2021 (sulla base dei dati raccolti fino a luglio) “è tra le più calde mai registrate, stimata tra 1,06 gradi e 1,26 gradi al di sopra dei livelli preindustriali (1850-1900)”, avverte l’Organizzazione metereologica mondiale. In ogni anno dal 2017 al 2021, “l’estensione media del ghiaccio marino artico estivo minimo e massimo invernale medio è stata inferiore alla media a lungo termine 1981-2010′. Nel settembre 2020, l’estensione del ghiaccio marino artico “ha raggiunto il secondo minimo più basso mai registrato”. Il 2021 ha poi registrato “eventi meteorologici ed climatici estremi devastanti” e “una firma del cambiamento climatico indotto dall’uomo è stata identificata nello straordinario calore estremo nordamericano e nelle inondazioni dell’Europa occidentale“.
“È probabile che la temperatura media annua a livello della superficie terrestre sia almeno un grado più elevata rispetto ai livelli preindustriali (definiti come media 1850-1900) in ciascuno dei prossimi cinque anni, ed è molto probabile che rientri nell’intervallo tra 0,9 gradi e 1,8 gradi”, è l’allarme di World Climate Research Programme, Met Office britannico e Organizzazione metereologica mondiale nel ‘Global Annual to Decadal Climate Update’. Inoltre “c’è una probabilità del 40% che la temperatura globale media in uno dei prossimi cinque anni sarà di almeno 1,5 gradi più calda rispetto ai livelli preindustriali – proseguono – ma è molto improbabile (circa 10% di probabilità) che la temperatura media di 5 anni per il periodo 2021-2025 sarà di 1,5 gradi maggiore rispetto ai livelli preindustriali”. Nel periodo 2021-2025, le regioni a latitudini più elevate e il Sahel saranno probabilmente più umide rispetto al recente passato”.
È “inequivocabile che l’influenza umana ha riscaldato l’atmosfera, l’oceano e la terra“, ha come noto segnalato l’IPCC nel recente Sesto Rapporto di Valutazione, “si sono verificati cambiamenti diffusi e rapidi nell’atmosfera, nell’oceano, nella criosfera e nella biosfera”. La portata dei recenti cambiamenti in tutto il sistema climatico nel suo insieme e lo stato attuale di molti aspetti del sistema climatico “sono senza precedenti da molti secoli a molte migliaia di anni”. Il cambiamento climatico indotto dall’uomo “sta già aumentando la frequenza e l’intensità di molti eventi meteorologici e climatici estremi in ogni regione del mondo”.
E gli oceani sono particolarmente a rischio. Il livello medio globale del mare “è aumentato di 20 centimetri dal 1900 al 2018 e a un ritmo accelerato di 3,7 millimetri/anno con una tolleranza di 0,5 mm dal 2006 al 2018”, segnalano il World Climate Research Programme, l’Organizzazione metereologica mondiale, l’Intergovernmental Oceanographic Commission dell’UNESCO, e l’International Science Council- ISC. Anche se le emissioni verranno ridotte per limitare il riscaldamento ben al di sotto dei 2 gradi, “il livello medio globale del mare aumenterebbe probabilmente di 0,3-0,6 metri entro il 2100 e potrebbe aumentare di 0,3-3,1 metri entro il 2300“. L’adattamento a questo aumento residuo “sarà essenziale: sono necessarie strategie di adattamento laddove non esistono, specialmente nelle coste basse, nelle piccole isole, nei delta e nelle città costiere”.
Sul fronte della salute, “l’aumento delle temperature è legato all’aumento della mortalità legata al caldo e al deterioramento del lavoro, con un eccesso di 103 miliardi di potenziali ore lavorative perse a livello globale nel 2019 rispetto a quelle perse nel 2000″, avvertono Organizzazione mondiale della salute e Organizzazione metereologica mondiale. Le infezioni da Covid-19 e i rischi climatici come le ondate di calore, gli incendi e la scarsa qualità dell’aria “si combinano per minacciare la salute umana in tutto il mondo, mettendo particolarmente a rischio le popolazioni vulnerabili”. Gli sforzi per la ripresa da Covid-19 dovrebbero quindi “essere allineati con gli sforzi per contrastare i cambiamenti climatici nazionali e con le strategie per migliorare la qualità dell’aria, per ridurre i rischi a cascata derivanti dall’aggravarsi dei rischi climatici e ottenere benefici per la salute”.