Nelle città, le vie del centro sono bellissime, sembra una movida d’altri tempi. In pratica viviamo una doppia vita, città illuminate a cuori spenti però. E non è certo questo un aspetto da trascurare. I nostri pensieri hanno subito ormai l’assalto perenne del covid 19 e di tutta la filiera terroristico-ansiogena che in esso si cela. Il virus è il male, ma ciò che vi ruota intorno non è tanto meglio. E mentre osserviamo l’Argentina ad esempio, dove la vita scorre normalmente nel periodo estivo, dove sono pochissimi i contagi nonostante la Omicron, ci rendiamo conto che tutto questo che ci gira intorno ci ha spento il cuore.
I nonni si preoccupano di “dover” vedere i loro nipoti, ed in molti casi si evita, e la popolazione più anziana, oltre ad essere esposta al contagio, resta così in balìa della televisione protagonista indiscussa in ogni salotto, ed anche se si prova a cambiare canale, poi ritualmente l’attenzione viene sempre rivoltà lì: il virus, i numeri, i dati, gli infettati, le terapie intensive, i morti. E poi spazio a parole chiave: preoccupazione, allarme, rischio, che vanno per la maggiore.
Il modo di raccontare la pandemia è gravissimo. Non ha precedenti, e mentre ci sembra che sia ancora tutto aperto in realtà è il nostro cuore ad essere chiuso. Disdette cene con amici che pensavamo di voler poter vivere. Tutto in zona bianca, e con lo spettro della rossa.
Per non parlare poi del “divario” sociale che si è generato tra i vax e novax. Ma non eravamo noi il popolo evoluto che doveva rispettare le posizioni di tutti? Non sarà pure che sono state raccontate troppe favole e ci siamo illusi di poterci liberare da una insidia che ha condizionato rapporti umani, sociali affettivi e persino intimi?
Viviamo queste festività sì nella libertà di poter uscire, senza il problema dei confini regionali, senza limiti della gente che siede a tavola.
Ma ora siamo noi il lockdown di noi stessi, tanto che per fare cene e feste, anche i vaccinati devono ricorrere al tampone per creare così la bolla dei negativi commensali. Solo in questo modo si può stare insieme. La vita al tampone. Quanti tamponi, test e screening che oggi sono diventati di fondamentale importanza. Come l’evoluzione di quella che inizialmente chiamavamo la “museruola” che ci aveva fatto mettere Conte con modalità da imperatore romano.
Ora le chirurgiche, quelle che costavano poco, accessibili ed indossate da gran parte delle persone sotto al naso e peraltro in molti casi anche abbastanza sudicie, non servono più. Si passa all’obbligo delle FFP2, e poi bisogna stare attenti a numeri e sigle, perchè devono essere conformi quindi ci vuole i marchio CE. Che comunque può essere stampato da chiunque. Quindi, nei controlli rischiamo di dover stare anche a combattere con un alterco generato dai numeri della nostra mascherina, e con la questione posta sul momento se sia certificata o meno.
In apparenza dunque, per la politica il Natale è salvo. Ma mentre gli italiani sono in casa sciorinano i peggiori scenari previsionali per gennaio e febbraio. Si prevedono “oltre centomila casi di infezione al giorno”.
Nessuno però conta il numero dei tamponi. Facendo raffronti ad esempio anche allo scorso anno. E’ chiaro che più aumenta la mole di persone che si sottopone ai test e più aumenta il numero di persone che possono risultare positive.
Siamo sicuramente ora già in balia della Omicron, come lo eravamo della Delta. Appare chiaro un fatto, che sia imputabile ai vaccini o meno: ma la contagiosità sarà aumentata ma la sintomatologia è molto blanda e gestibile.
Il vero problema dell’infezione oggi è la quarantena del positivo, dei contatti stretti, intermedi eccetera. Una situazione di difficile valutazione. Se qualcuno è salito in macchina con voi ed ha percorso un breve tratto di strada può considerarsi un contatto stretto? Nessuno in effetti sa dare o vuole dare queste risposte, e basta che l’infettato dica al medico di famiglia che è salito in macchina con te e sei rovinato, anche se negativo, rischi la quarantena preventiva. E sì perchè è sempre questo medico, che per non sbagliare poveretto, tende ad abbondare. Come è normale che sia. Come è normale che sia. Oltre ai disagi allocativi di persone costrette a vivere giorni e giorni da carcerato in una stanza, e magari nelle feste di Natale dovendo anche ascoltare le chiacchiere dei commensali festanti intorno al tavolo.
E allora in queste città illuminate, cari loro, i nostri cuori sono spenti, forse saranno accesi solo quelli che vivono le festività nella “bolla di Noè”, con aurei conteggi, prestigiosi catering e tamponi nelle narici d’oro.
Ai posteri le ardue sentenze.