«Pochi spettacoli sono più umanamente tristi – dice l’artista – di quelli che si ripetono tutti i giorni nei musei. Intere mandrie di esseri umani vengono spinte da chissà quale mito a percorrere di corsa sale e stanze per vedere da lontano opere nascoste da vetri o da altri visitatori che si trovano davanti a loro. Questo succede agli Uffizi come al Louvre». Le opere devono essere guardate a lungo per essere davvero apprezzate e comprese. «Oggi si crede che prestare una attenzione non superiore ai venti secondi a un quadro, basti per comprenderlo veramente. Al Louvre – prosegue l’artista – si corre velocemente tra le sale degli artisti italiani, trascurando Paolo Uccello, Veronese e molti altri meritevoli di uno sguardo, per arrivare a destinazione: la Gioconda. E guai ad essere un po’ più bassi della media, perché allora la si può vedere solo quando la coda avanza. Nella folla tante mani sono alzate perché protendono i telefoni per la foto d’obbligo». «Infine per pochi secondi la si può vedere, dietro uno spesso vetro protettivo verde che la fa apparire come un’ostrica nel suo sugo». L’idea della poltrona nasce dunque per «lasciare allo spettatore tutto l’incanto di un capolavoro» che secondo l’artista può sconfinare in una sorta di rapimento “ipnotico” nell’opera stessa.