BARI – Un gruppo criminale organizzato come una realtà imprenditoriale in cui si lavorava in turni capaci di coprire l’intera giornata e in cui ogni “dipendente” aveva paghe stabilite, da incassare ogni venerdì, in base al ruolo svolto: alle vedette, la cui attività era classificata come a basso rischio, andavano dai 300 ai 500 euro; mille euro allo spacciatore che, in possesso del borsone zeppo di stupefacenti, si occupava della vendita al dettaglio e monitorava il sistema di videosorveglianza; 1.500 euro sia “alle guardie armate posizionate sui tetti con il compito di difendere la roccaforte dalle altre organizzazioni criminali” sia a al responsabile della piazza di spaccio che si occupava anche dei rifornimenti e a cui, in base alle capacità gestionali dello smercio, poteva arrivare un bonus mensile fino a 5mila euro. È quanto accertato dagli agenti della squadra mobile di Bari che con i colleghi del commissariato di Bitonto (Bari) hanno eseguito una ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 43 persone (di cui 32 in carcere e 9 ai domiciliari) accusate di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, con l’aggravante di aver commesso il fatto avvalendosi del metodo mafioso.
L’inchiesta, denominata “Market drugs”, ha avuto avvio nel settembre di 5 anni fa quando Bitonto era teatro di scontri armati tra due gruppi criminali: i Conte (considerati propaggine del clan barese Capriati) e i Cipriano. L’obiettivo era, secondo gli inquirenti, avere il monopolio nella zona del Ponte, controllata dai Cipriano e ambita dal clan avversario già “padrone” dell’area di via Pertini dove si trova il quartier generale protetto da portoni blindati. Per gli investigatori, coordinati dalla Dda di Bari, c’era “una guerra finalizzata al controllo militare dei luoghi di cessione di cocaina, marijuana e hashish”, nel centro storico di Bitonto, nella zona vicina a via Arco di Cristo, dove alcuni degli arresti avevano allestito una base logistica “dotata anche di sistemi di videosorveglianza”. A confermare la guerra criminale, è stato anche l’assassinio di Anna Rosa Tarantino, 87enne e vittima innocente di mafia uccisa da alcuni colpi d’arma da fuoco durante uno scontro tra clan il 30 dicembre 2017.
Al vertice dell’organizzazione ci sarebbe Domenico Conte mentre il suo braccio destro, Mario D’Elia avrebbe assunto le redini del gruppo in caso di arresto del capo. Francesco Bonasia, Damiano Giordano e Giovanni Palmieri sarebbero stati “organizzatori e dirigenti” del gruppo. Gli altri 38 indagati sarebbero vedette, spacciatori e trasportatori. Utili alle indagini sono state le dichiarazioni rese da un collaboratore di giustizia che avrebbe definito il gruppo “una ditta” e riferito che “il capo, in occasione delle festività, da vero manager, elargiva gratifiche in denaro, bottiglie e panettoni” pur imponendo “rigide regole come orari di rientro a casa, responsabilità diretta del materiale affidato, fosse droga o armi, compartimentazione delle informazioni all’interno del gruppo (come i luoghi di occultamento della droga e delle armi), per garantirne l’impenetrabilità”.
Grazie a una definita “strategia commerciale” l’organizzazione avrebbe avuto un giro di affari dai 20 ai 30mila euro al giorno riuscendo a smerciare, mensilmente, tra i 30 e i 40 chili di stupefacenti tra cui anche amnesia definita “un’erba che ti fulmina il cervello”. I rifornimenti di cocaina, hashish e marijuana sarebbero avvenuti da importanti grossisti dei quartieri Madonella e Japigia di Bari e Terlizzi. (www.dire.it)