Roma – La cessione della propria quota dell’immobile acquistato in comunione con l’agevolazione “prima casa”, effettuata da un membro di una coppia di fatto in favore dell’altro, e non seguita dal riacquisto entro l’anno, comporta la decadenza dall’agevolazione fruita. A queste conclusioni è giunta la sentenza n. 20956 del 1 luglio 2022, che, sulla base di un’articolata motivazione, ha escluso che tale cessione possa rientrare nell’esenzione da imposta che l’articolo 19 della legge n. 74/1987 prevede per gli accordi di divorzio e separazione tra coniugi.
La vicenda esaminata dalla Cassazione
Con la sentenza in commento la Cassazione ha esaminato (e accolto) il ricorso dell’Agenzia delle entrate con cui è stata chiesta la conferma di un avviso che aveva dichiarato la decadenza dall’agevolazione “prima casa” e liquidato in misura ordinaria le imposte di registro, ipotecaria e catastale, nonché negato l’agevolazione (imposta dello 0,25%) per il contratto di finanziamento.
L’immobile per il quale si era inizialmente usufruito delle agevolazioni era stato acquistato in comunione da una coppia “di fatto”. Però la contribuente/resistente, al termine del rapporto, aveva trasferito la propria quota del 50% all’ex compagno, che si era accollato il debito residuo con la banca. La contribuente non aveva riacquistato un nuovo immobile entro l’anno dalla cessione, incorrendo nella decadenza dai benefici “prima casa” ai sensi dell’articolo 1, nota II-bis, comma 4 ultimo periodo della Tariffa, Parte 1, allegata al Dpr n. 131/1986.
Mentre la Ctp aveva fondato l’accoglimento del ricorso sull’assimilabilità dell’impossibilità di prosecuzione della convivenza a una “causa di forza maggiore”, la Ctr aveva ricondotto la vicenda (il trasferimento all’ex, con accollo del debito residuo) a una regolazione senza corrispettivo dei rapporti esistenti alla data di cessazione della convivenza, che avrebbe dato luogo a una novazione soggettiva.
L’articolo 19 della legge n. 74/1987
Nella prima parte della motivazione la Corte di cassazione conferma che un motivo soggettivo non può concretizzare una causa di forza maggiore, la quale costituisce invece un evento imprevedibile e inevitabile, a tal punto cogente da sovrastare, precludendone obiettivamente la realizzazione, della volontà stesa dell’acquirente (in tema di imposta di registro, sentenza sezioni unite n. 8094/2020).
Nel prosieguo la Cassazione affronta il tema “centrale” del giudizio, ovvero la portata dell’agevolazione di cui all’articolo 19 della legge n. 74/1987, norma che introduce un’esenzione dall’imposta di bollo e di registro, e da ogni altra tassa, di tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio (e di separazione, a seguito di Corte costituzionale n. 154/1999).
La disposizione è venuta in passato in rilievo in quei numerosi contenziosi che avevano ad oggetto avvisi di liquidazione con i quali gli uffici contestavano ai contribuenti la decadenza dalle agevolazioni per trasferimento infra-quinquennale (e senza successivo riacquisto) all’ex coniuge della “prima casa”, o di quote di essa. Nel tempo, come noto, la Corte di cassazione ha adottato un’interpretazione estensiva del dettato legislativo, affermando che il trasferimento della prima casa costituisce una modalità di sistemazione “conciliativa” dei rapporti patrimoniali, priva di intento speculativo, che rientra nell’esenzione dall’imposta (Cassazione n. 8104/2017e Circ. 27/E/2012, al § 2.2). Ciò accade anche quando la vendita dell’immobile avvenga a un terzo, e sia stata effettuata col fine di ripartire il ricavato (Cassazione n. 7966/2019, che si discosta dalla precedente Cassazione n. 860/2014).
La decisione della Cassazione
Nella decisione in commento, tuttavia, la Cassazione ha escluso che l’esenzione prevista per i procedimenti di separazione e divorzio possa essere estesa sino a ricomprendere la cessazione delle coppie di fatto. Infatti, secondo la Corte, il regime di favore riguarda i soggetti avvinti dal vincolo coniugale, che abbiano intrapreso il procedimento previsto dalla legge per definire materie e questioni attinenti al loro rapporto; procedimento che non è previsto per l’ipotesi in esame (in senso conforme, su fattispecie analoga, vedi anche la risposta a interpello n. 244/2022 dell’Agenzia.
Nonostante la legge Cirinnà (n. 76/2016), sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso abbia definitivamente superato la vecchia concezione secondo cui la convivenza more uxorio costituisce un fenomeno puramente fattuale, rimane pur sempre la distinzione, anche sul piano costituzionale (articolo 29), con la famiglia fondata sul matrimonio. La diversità di situazioni può giustificare un regime di tassazione diverso della cessione della prima casa e a ciò non è di ostacolo la Convenzione europea dei diritti dell’uomo perché, come riconosciuto dalla Corte EDU (vedi gli ampi riferimenti contenuti nell’ultima parte della sentenza in commento), gli Stati contraenti della Convenzione sono liberi di accordare una tutela privilegiata alle coppie unite in matrimonio.
È probabile che, in un futuro non molto lontano, la questione possa porsi in relazione agli accordi patrimoniali degli ex conviventi delle coppie dello stesso sesso. In particolare, andrà chiarito l’ambito applicativo del comma 20 dell’articolo unico della legge Cirinnà (non applicabile alla fattispecie esaminata dalla Corte, che ha ad oggetto una coppia di persone di sesso diverso), il quale prevede che “al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso”.