Paolo Marchese, giovane e diligente commissario poco più che quarantenne, vive la sua esistenza e il suo lavoro in bilico tra la rigidità dell’educazione ricevuta e il fuoco di ribellione che ha dentro. Ciò lo porta a mal digerire ogni forma di approssimazione o fede devota a dogmi vuoti e stereotipati. Fuori sincro rispetto al tempo in cui vive e con u paio di baffi demodé, il commissario affronta le sue indagini con uno spirito tenace e diretto, alla ricerca della verità, scavando sempre oltre la superficie.
Quando il corpo di Chiara Maffei viene rinvenuto, il commissario Marchese si trova davanti a un orrore. La ragazza, prossima alla laurea, pare aver sempre avuto una vita come tante ma, aperte le indagini, vengono alla luce segreti che, inevitabilmente, diventano oggetto di strumentalizzazione sia da parte dei mass media sia da parte dei politici. In un mondo che mira più allo scandalo che alla ricerca della verità, la figura di Chiara diventa un titolo pronto all’uso e, in questo circo mediatico, la ricerca del colpevole, per gli agenti, si fa sempre più difficile.
(da La trasfigurazione mediatica di Chiara Maffei. A chi importa dell’assassino? Le indagini del commissario Marchese, Robin Edizioni, 2022).
Francesco Calzoni nasce nel 1977 e vive a Perugia. Ha lavorato molti anni nel settore della moda per poi cambiare vita e diventare impiegato alla logistica in un’industria alimentare. Avido lettore e ascoltatore di musica di ogni genere, inizia a scrivere facendo satira per il giornale del liceo, prosegue poi dedicandosi alla poesia e al teatro. Nella scrittura, così come nella lettura, è un convinto sostenitore della contaminazione di generi e temi. Oltre al suo giallo d’esordio sempre per la Robin edizioni ha pubblicato Il re ha parlato (2022).
Scritto con un linguaggio pertinente e di stile il libro di Francesco sa creare la giusta suspence che caratterizza un giallo perfettamente costruito. Riesce a trascinare il lettore portandolo a immaginare un’ipotesi sempre diversa, in cui i tanti indizi disseminati ad arte nel corso della storia orientano, e disorientano, verso la soluzione del delitto. I personaggi sono ideati con maestria, descritti con temperamenti talvolta dubbi e ambigui, proprio come l’insondabile animo umano sa essere di fronte a un fatto tragico. In questo aspetto lo scrittore ha saputo eccellere, facendone uno dei punti di forza del libro, senza mai perdere di vista la coerenza interna degli svolgimenti narrati.
Un romanzo che sa stupire pagina dopo pagina e solleva anche un’interessante riflessione su quello che è il labirinto dell’informazione mediatica. Attraverso la narrazione passa la decisa critica dell’autore verso un certo modo di fare informazione oggi: la tendenza a trasfigurare gli eventi, a risaltare i dettagli scabrosi piuttosto che cercare la verità. Così, il lavoro del commissario Marchese diventa anche un lotta contro la pericolosa disinformazione, nel tentativo di far luce su cosa sia successo davvero.
Oggi dialoghiamo con l’autore Francesco Calzoni per fargli alcune domande sul suo giallo ambientato nella bellissima Perugia.
Ciao Francesco e grazie ancora per condividere con noi alcuni pensieri sul tuo libro. Questo è il tuo primo romanzo di investigazione, come è nata l’idea di scrivere un giallo?
“Partendo dal presupposto che le storie nascono da sole, o per lo meno non mi metto a tavolino con l’idea di scrivere un genere piuttosto che un altro, in questo caso c’era anche il gusto della sfida per vedere se ero in grado di strutturare un giallo classico, genere spesso bistrattato ma estremamente complesso da realizzare, se fatto bene”.
Ci sono state delle difficoltà nell’affrontare questo genere letterario?
“Come dicevo prima, strutturare un giallo “vecchia scuola”, dove cioè è l’intuito del commissario che porta alla scoperta della verità, senza l’abuso di tecnologie scientifiche ed evitando che, l’assassino, perfetto fino alla fine, all’ultimo commetta una sciocchezza improbabile, è estremamente complesso. I protagonisti scoprono volta per volta delle cose solo se in precedenza ne hanno scoperte delle altre, o se sono venuti a conoscenza di determinati fatti. Non c’è spazio per intuizioni improbabili. La struttura dunque è molto rigida e lo scrittore, mano a mano che dipana la matassa, deve lasciare per strada delle briciole di pane che il lettore può seguire per scoprire prima del commissario stesso la verità e, allo stesso tempo, è divertente seminare falsi indizi, giocando sulla personalità dei protagonisti”.
Chi è stato il primo a leggere il tuo romanzo e che impressione ha avuto?
“Sono stati Michele e Paolo, ai quali il libro è dedicato. È stato grazie a loro se mi è tornata la voglia di scrivere qualcosa di più strutturato rispetto a racconti brevi. Diciamo che sono ormai anni che ci scambiamo i lavori che facciamo, una sorta di cooperativa dell’editing, dove i pareri tecnici si mischiano a quelli puramente estetici e ai consigli. Il loro responso fu tutto sommato positivo, la storia reggeva così com’era strutturata e questo, ovviamente, mi ha dato la carica per completare il romanzo (nella prima stesura le pagine erano la metà)”.
Raccontaci qualche curiosità sulla scelta dell’ambientazione
“Nessuna curiosità, tutto “merito” della mia pigrizia. Perugia è la mia città, non dovevo fare ricerche per dare al romanzo uno sfondo preciso e dettagliato. Tra le altre cose è stata la mia fortuna in quanto, la Robin Edizioni che mi ha pubblicato, ha una collana intitolata proprio “I luoghi del delitto”, romanzi gialli dove la città in cui sono ambientati i fatti ha una rilevanza e una presenza molto forte”.
Quale è il tuo personaggio preferito e perché?
“Sicuramente Stefania, un personaggio che è letteralmente cambiato, trasfigurato (è davvero il caso di dirlo), rispetto a come lo avevo concepito inizialmente. E questo fa capire quanto sia difficile strutturare bene una storia. Questo perché, le storie, hanno una particolarità: sono vive. Lo scrittore parte con un’idea, più o meno definita, ma strada facendo molte cose cambiano naturalmente, tanto che si ha veramente l’impressione che appunto la storia viva una vita propria”.
Come hai organizzato il lavoro di scrittura?
“Proprio per quanto appena detto, era fondamentale creare una scaletta molto dettagliata, che poi è il modo che ho sempre di lavorare. Parto buttando giù le idee che ho, e mano a mano e che continuo a raccontarmi la storia in testa, aggiungo righe alla scaletta, cancello o modifico quello che non si aggancia bene a quanto pensato in precedenza o che magari non mi porterebbe a quello che vorrei raccontare subito dopo. Più la scaletta è dettagliata e meno buchi di trama ci saranno a lavoro finito, e molto più semplice sarà il lavoro di scrittura vero e proprio. Per darvi un’idea io ho impiegato un paio di mesi a fare la scaletta e tre a scrivere tutto il romanzo”.
Quale è stato il personaggio più complesso da caratterizzare e narrare?
“Di Stefania ho già detto, un personaggio che inizialmente doveva essere estremamente “superficiale” ma che poi ha tirato fuori una complessità che io stesso non mi aspettavo. Ma è stato tutto naturale, quindi non ho avuto difficoltà. La vera difficoltà è sempre con il protagonista, perché alla fine noi vediamo la storia attraverso i suoi occhi. È un gioco di equilibri, dove vanno dosate bene alcune caratteristiche piuttosto ricorrenti in un determinato genere (che aiutano il lettore a identificarsi e ad avere un senso di familiarità) con altre più peculiari che andranno poi a definire il vero carattere del protagonista, a colorarlo. Quindi, per rispondere alla domanda, il lavoro più difficile è stato sul commissario Paolo Marchese”.
Il titolo del tuo libro è molto eloquente in riferimento al mondo mediatico e alla comunicazione dei fatti di cronaca nera: vuoi dirci di più sul messaggio che hai voluto trasmettere ai lettori?
“Essenzialmente ho voluto parlare del disgusto che provo verso un certo modo di fare informazione. Se fino a qualche anno fa era solo cattivo gusto, ora ritengo che sia anche pericoloso, estremamente pericoloso, dato che siamo costantemente bombardati da notizie e il rischio di perdere la bussola e di abbandonarsi agli isterismi è facile.
Vi racconto un aneddoto a proposito di questo: ero arrivato ormai a fine editing con la mia agente, e scambiandoci le ultime impressioni, lei muoveva qualche perplessità riguardo una parte del racconto in cui scoppiano delle sommosse cittadine. Le sembrava una forzatura, e non aveva tutti i torti a onor del vero. Era il 5 gennaio, il giorno dopo tutti abbiamo visto al telegiornale l’assalto a Capitol Hill. Ecco, quella folla inferocita e totalmente plasmata da un tam tam di odio e bugie, mi ha fatto capire due cose: primo che questo modo di fare (dis)informazione è criminale, due che le cose che scrivo non sono poi così esagerate”.
Fra le altre cose, sei un grande appassionato di musica: quale colonna sonora sceglieresti per il romanzo?
“Bella domanda, sinceramente non ci ho pensato. Al contrario dell’altro libro che ho pubblicato (Il Re ha parlato, sempre per la Robin Edizioni), dove invece tutto il racconto è strutturato come una play list, qui ci sono tantissime citazioni, ma sono cose molto estemporanee, messe là perché così mi è venuto. Se proprio devo dare un titolo allora direi “Ti prendo e ti porto via”, la canzone che Vasco ha scritto ispirato al libro (bellissimo) di Ammaniti. Non che c’entri nulla con la trama, è una delle tante citazioni fatte tra le pagine, forse una citazione che arriva in un momento di svolta della narrazione, anche se i protagonisti in quel momento non ne sono ancora del tutto consapevoli”.
Hai in mente altre indagini per il commissario Marchese?
“C’è una seconda storia dove ritroviamo tutti i protagonisti di questo giallo, un romanzo molto ben avviato (scaletta blindata e una cinquantina almeno di pagine scritte). Al momento però è chiuso in un cassetto da circa un anno e qualcosa perché, mentre stavo scrivendo, ho firmato con la Robin per la pubblicazione di questi due romanzi e a quel punto sono stato molto impegnato prima a fare l’editing con loro e poi con il lavoro di promozione. Senza contare che, purtroppo, questo dello scrittore, pur essendo un vero e proprio lavoro, non può essere il mio unico lavoro. Ergo di tempo ne ho in quantità molto limitata”.
Tre buoni motivi per acquistare il tuo libro
“Sicuramente perché a comprare un libro e a leggere non si sbaglia mai e sono soldi sempre ben spesi. Credo poi che sia anche divertente, tutto sommato strutturato in un modo che regge e ci si può divertire a tentare di indovinare l’assassino. E poi perché Perugia è bella, e tra le pagine di questo libro farete un tour nel capoluogo umbro”.