“Tale barriera – spiega la Dott.ssa Elena Lucarini dell’Università di Firenze – protegge l’organismo da eventuali patogeni o tossine, garantendo comunque l’assorbimento di nutrienti e l’escrezione di prodotti di scarto. In presenza di patologie come le malattie infiammatorie intestinali, si osserva un progressivo deterioramento epiteliale e l’instaurarsi di una condizione di disbiosi (alterazioni del microbiota), la quale non solo compromette l’integrità della barriera lungo il tratto digerente, ma altera anche la comunicazione fra l’intestino e il resto dell’organismo”.
Quando parliamo di malattie infiammatorie croniche intestinali (l’acronimo italiano è MICI) facciamo riferimento alla malattia di Crohn e alla colite ulcerosa: patologie che si stima colpiscano più di 6,8 milioni di persone in tutto il mondo. Sebbene queste due condizioni differiscano dal punto di vista patologico, entrambe si manifestano con perdita di peso, dolore addominale, diarrea e sangue nelle feci.
Tuttavia, questo armamentario terapeutico non basta a debellare la patologia che resta latente nei pazienti. A ciò, si aggiunge il fatto che nella maggior parte dei casi questi farmaci immunosoppressivi aumentano il rischio di contrarre infezioni opportunistiche, senza considerare i numerosi effetti collaterali.
“È necessario individuare nuovi target molecolari e cellulari su cui agire per trattare in maniera sicura ed efficace queste due patologie. Per questo, la ricerca futura potrebbe basarsi su nuove strategie di riparazione della mucosa finalizzate al ripristino dell’integrità della barriera epiteliale intestinale”, afferma il Prof. Matteo Fornai dell’Università di Pisa, in occasione del Convegno Monotematico della Società Italiana di Farmacologia (SIF) dal titolo “Nuove strategie terapeutiche per il trattamento delle patologie algiche intestinali”, in corso oggi e domani a Firenze.