Roma – Con l’ordinanza n. 2643 del 27 gennaio 2023 la Corte di cassazione, rigettando il ricorso presentato dal contribuente, ha chiarito come, in tema di accertamenti fondati su indagini bancarie, il ricorso alle movimentazioni sul conto corrente riferibili a una società di capitali onera il contribuente della dimostrazione del fatto che i proventi contestati non debbono essere recuperati a tassazione perché già indicati nelle dichiarazioni dei redditi o, eventualmente, perché fiscalmente non rilevanti in quanto riconducibili a operazioni non imponibili.
Non grava, invece, sull’ufficio alcun obbligo di preventiva individuazione della fonte del reddito né, tantomeno, di specifica indicazione dell’attività produttiva di reddito dalla quale potrebbero trarre origine le movimentazioni oggetto di esame.
Con la medesima pronuncia, la Corte ha precisato, inoltre, che l’autorizzazione all’espletamento di indagini bancarie – esplicando una funzione organizzativa che incide nei rapporti tra uffici – non richiede alcuna motivazione, con la diretta conseguenza che, ove la stessa non sia allegata o esibita all’interessato, non si determina alcuna illegittimità dell’avviso di accertamento fondato sulle risultanze di tali indagini.
Il caso e il ricorso
L’Agenzia delle entrate emetteva nei confronti di un imprenditore agricolo dedito alla coltivazione dei fondi, un avviso di accertamento nel quale veniva rettificata in aumento la base imponibile dichiarata e provvedeva a tassare i maggiori redditi riscontrati. L’accertamento stesso era basato su attività ispettive concernenti i rapporti e le movimentazioni bancarie facenti capo al contribuente, che mostravano prelievi e versamenti non giustificati sui conti a lui intestati.
L’imprenditore proponeva ricorso in prima istanza dinanzi ai competenti giudici tributari che, però, avallavano l’operato dell’Amministrazione finanziaria. Ricorreva, quindi, in seconda istanza dinanzi l’allora Commissione tributaria regionale del Lazio dalla quale riusciva a ottenere soltanto una minima riduzione del maggior reddito accertato. Il contribuente decideva, cosi, di ricorrere in Cassazione, affidando la sua difesa a distinti motivi di ricorso.
Con il primo lamentava il fatto che la Ctr avesse ricondotto i maggiori importi accertati alla categoria del reddito d’impresa commerciale, senza precisare quale fosse l’attività generatrice del contestato maggior imponibile e senza considerare il dato della produzione, da parte sua, di reddito agrario, che viene determinato con metodo forfetario, in base alle caratteristiche obiettive del fondo. Il reddito agrario, precisa il ricorrente, può essere qualificato come reddito d’impresa solo se prodotto da società di tipo commerciale e riconducibile alle attività di cui all’articolo 32, comma 2, lettere b) e c), del Testo unico delle imposte sui redditi (Dpr n. 917/1986), che eccedano i limiti previsti dall’articolo 55, comma 1, dello stesso Testo unico.
Con il secondo motivo di ricorso, il contribuente censurava la sentenza impugnata per aver ritenuto pienamente utilizzabili le risultanze delle indagini bancarie solamente per il fatto di non aver offerto egli stesso adeguata prova contraria. L’imprenditore agricolo sosteneva invece che fosse preciso onere dell’ufficio quantomeno indicare, a monte, l’esistenza di un’attività dalla quale derivava il maggior reddito accertato e la natura giuridica dello stesso, non potendo essere riconosciute alle sole risultanze bancarie valenza piena ai fini della rideterminazione di una maggiore base imponibile.
Infine, con l’ultimo motivo di ricorso, il contribuente contestava all’ufficio la mancata allegazione, in sede di avviso di accertamento, dell’autorizzazione ad acquisire la documentazione relativa ai conti correnti individuali.
La decisione della Corte
Pronunciandosi definitivamente sulla questione controversa, i magistrati di piazza Cavour hanno dato torto al contribuente, rigettando il suo ricorso. La Cassazione ha, infatti, chiarito, come in tema di accertamenti fondati su indagini bancarie, è principio ormai affermato e da ritenersi pacifico quello per cui il ricorso da parte dell’ufficio alla movimentazione bancaria riferibile a una società di capitali, nei casi previsti, onera unicamente il contribuente della dimostrazione del fatto che i proventi dalla stessa desumibili non debbono essere recuperati a tassazione, o perché egli ne ha già tenuto conto nelle sue dichiarazioni dei redditi, o perché non sono fiscalmente rilevanti in quanto riconducibili a operazioni non imponibili.
A conclusioni analoghe era già giunta, per altro, la stessa Corte, con la sentenza n. 24402/2022, nella quale era stato recisamente affermato che qualora l’accertamento effettuato dall’Amministrazione finanziaria sia bastato su verifiche di conti correnti bancari, “l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo le previsioni del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova non generica ma analitica per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili e sono privi di rilevanza fiscale”.
Principio simile era stato affermato, sempre dai giudici di piazza Cavour, con la decisione n. 20118/2018 a mente della quale “le presunzioni fondate sulle movimentazioni bancarie legittimano l’Ufficio a considerare come ricavi i versamenti e i prelevamenti dei quali il contribuente non riesca a dare giustificazione. Per poter accertare la natura di costi degli addebiti, in particolare, al fine della loro deducibilità, è necessario che il contribuente fornisca prova contraria alla rilevanza fiscale delle movimentazioni bancarie”.
Dunque, hanno evidenziato i magistrati romani, sull’Amministrazione finanziaria non grava alcun obbligo di preventiva individuazione della fonte del reddito né, tantomeno, di specifica indicazione dell’attività produttiva di reddito dalla quale potrebbero trarre origine le movimentazioni bancarie poste a sostegno della rideterminazione in aumento della base imponibile.
Con riferimento, poi, all’attività di imprenditore agricolo, la Corte ha affermato che la stessa non può essere ricondotta alla previsione di cui all’articolo 32, comma 2, lettera b) del Tuir, se è esercitata oltre il limite indicato da tale disposizione e, in tal caso, il reddito che eccede detto limite ha natura di reddito d’impresa la cui entità non preclude all’amministrazione finanziaria di procedere all’accertamento della sua reale consistenza in presenza di indici di capacità patrimoniale sproporzionata al reddito stimato in modo forfetario.
Infine, i giudici di ultima istanza, rigettando anche l’ultimo motivo di ricorso avanzato dal contribuente, hanno affermato che l’autorizzazione all’espletamento di indagini bancarie – esplicando una funzione organizzativa che incide nei rapporti tra uffici – non richiede alcuna motivazione, con la conseguenza che non si determina alcuna illegittimità dell’avviso di accertamento fondato sulle risultanze di tali indagini qualora la stessa non sia allegata o esibita all’interessato. Un’eventuale illegittimità dell’avviso di accertamento potrebbe derivare, in ipotesi, unicamente dalla materiale assenza di un’autorizzazione (ma non certo dalla sua mancata allegazione), e sempre che da ciò sia derivato un concreto pregiudizio per il contribuente, che spetta a quest’ultimo dimostrare.
Sul punto la decisione in commento è conforme alla pronuncia della stessa Corte di cassazione n. 22754/2020, ai sensi della quale la legittimità delle indagini bancarie e delle relative risultanze è da correlare all’esistenza dell’autorizzazione e non anche alla relativa esibizione all’interessato.