Abbandonato dalla madre in un collegio femminile a nemmeno due anni, Giuseppe cresce benevolmente accudito tra le verdi colline del Collio goriziano: apparentemente un’infanzia spensierata a cui non manca nulla, ma in cui il primordiale bisogno di amore esclusivo e incondizionato viene costantemente disatteso dall’assenza materna sempre più definitiva. Crescendo, impara ad esorcizzare quella mancanza, convincendosi di essere emotivamente indipendente e affrontando le sfide quotidiane come opportunità di riscatto. Eppure quell’amore materno negato lascia delle crepe nell’uomo che diventa: finisce col non abbandonarsi mai completamente ai sentimenti, con l’amarsi da sé come avrebbe voluto essere amato e con l’assecondare un infantile bisogno di accudimento. «Adulto troppo presto, bambino per sempre.» Finché non si imbatte nell’occasione inaspettata di pareggiare i conti col passato, di lasciarsi travolgere dall’amore e di far pace con la sua Storia. Liberamente ispirato ad una vicenda vera, «Il bambino delle vigne» è un delicato inno alla vita e alle molteplici possibilità di riscatto che offre.
Come è nata l’idea di scrivere Il bambino delle vigne?
“Ho cullato da sempre il sogno di scrivere un libro ma finora avevo tenuto i miei elaborati solo per me, forse perché non mi ero mai imbattuta in una storia che parlasse così tanto al mio cuore da sentire il bisogno quasi fisiologico di condividerla.
L’idea di scrivere questo romanzo è nata quasi per gioco: ho conosciuto il protagonista e sentito da lui alcuni aneddoti della sua vita. Ne sono stata profondamente colpita e scossa da sentimenti molto contrastanti al riguardo, al punto da dirgli un giorno “Vorrei scriverne un libro!”, convinta che ci saremmo fatti una risata e sarebbe finita là. Invece con mia grande sorpresa, mi ha confessato di aver desiderato da sempre che la sua storia venisse raccontata e da lì abbiamo cominciato questo percorso: lui intento a raccontare, io a chiedere, documentarmi, conoscere le persone, vedere i luoghi, immaginare le emozioni e i sentimenti e infine, con grande emozione, scrivere”.
Cosa ha significato per te raccontare e rendere pubblica la storia vera di un bambino accolto e cresciuto in un collegio?
“E’ stato un gioco di equilibri molto sottile, in una delicata e costante ricerca di convivenza tra discrezione, imparzialità e sentimento. Ha significato mediare tra elementi contrastanti: una storia realmente accaduta da narrare con profondo rispetto per il suo protagonista, per il suo vissuto e soprattutto per il suo presente; le mie emozioni di mamma e di donna davanti ad una vicenda di maternità di fatto rifiutata che facevo fatica a capire; le libertà narrative che mi sentivo di seguire per ricostruire questo pezzo di vita come me lo figuravo.
E’ stato necessario fare i conti con l’incredulità che la storia mi suscitava, con la curiosità di sondare le conseguenze delle scelte subite sulla crescita del bambino, con l’ammirazione per la capacità di resilienza di questo piccolo, con la sensibilità del mio interlocutore/protagonista dei cui sentimenti reali dovevo aver massima cura”.
Che personaggio è Giuseppe?
“E’ un personaggio complesso, denso di contraddizioni di fondo che si porta cucite addosso come eredità di nascita e da cui cerca in qualche modo di svincolarsi lungo tutto il suo percorso di crescita e di costruzione di un equilibrio personale e che sono metaforicamente rappresentate già dall’antitesi tra le sue origini del profondo sud e il suo crescere nell’estremo nord est della penisola.
E’ un bambino gioioso, impulsivo eppure a modo suo riflessivo che il libro segue nel suo diventare adolescente e infine uomo, in un intimo percorso tra passato e presente, nel suo contrasto tra momenti di mancanza e di grande pienezza, tra desideri più o meno inespressi e disattesi, tra quello che avrebbe potuto essere e quello che è.
E’ un bimbo che inconsciamente fa della voglia di riscatto e della resilienza la sua chiave per affrontare gli ostacoli della vita, fino ad arrivare ad una conclusione inaspettata e densa di speranza che lo porta per la prima volta a trovare le soluzioni fuori da sé”.
Il romanzo è strutturato su due piani narrativi: il presente del protagonista e il suo passato. A cosa è riconducibile questa scelta?
“La scelta è veicolata dalla profonda convinzione che il nostro passato e il nostro presente siano intimamente legati e inscindibili. Ho cercato di mostrare, attraverso il doppio piano narrativo, come le radici di certi atteggiamenti e risposte che diamo nel nostro vissuto attuale alle sollecitazioni siano da ricercarsi in ciò che abbiamo sperimentato nei primi anni di vita e di crescita.
Ciononostante il romanzo vuole dimostrare anche con la sua conclusione inaspettata che la vita può sorprenderci sempre e che il suo tenore dipende proprio dal nostro modo di porci di fronte agli eventi; vuole dire a gran voce che il nostro passato ci condiziona senza dubbio ma non ci imbavaglia in modo irrimediabile”.
Hai affrontato un tema delicato: quello di un amore materno mancato. Quali atteggiamenti provoca e quali crepe lascia nei sentimenti di Giuseppe?
“E’ innegabile che la mancanza di una figura materna costante e rassicurante in età così tenera lasci dei segni da cui non è facile riscattarsi: il mio protagonista impara fin da piccolo a non fidarsi mai completamente dei sentimenti e a non abbandonarvisi per la paura di subire un nuovo rifiuto, impara ad amarsi da sé come avrebbe voluto essere amato, a sentirsi indipendente da tutti sotto ogni punto di vista e sviluppa un atteggiamento narcisistico e infantile, nel tentativo di recuperare da adulto quel ruolo di figlio che sente gli è mancato. “Adulto troppo presto, bambino per sempre”.
Tuttavia è un personaggio pieno di risorse che cerca in se stesso il motivo di riscatto e che dopo un percorso lungo una vita coglie infine come ci sia una strada da percorrere anche fuori da sé che lo farà riavvicinare con fiducia autentica agli altri”.
Quale messaggio e quali emozioni vuoi lasciare ai lettori attraverso il tuo libro?
“Ho cominciato a scrivere questo romanzo pensando di raccontare una vicenda altrui che mi aveva colpita, ma nel farlo mi ci sono sentita coinvolta in prima persona e ho colto la sua universalità, nella misura in cui tutti noi ambiamo ad essere amati e voluti in primis dai nostri genitori e accolti dal nostro ambiente. Eppure quasi tutti abbiamo nel nostro passato un tessuto personale (famigliare, scolastico, di salute, economico, sociale), piccoli o grandi momenti che ci hanno messo alla prova e ci hanno segnato e plasmato nel carattere. E’ in questo senso che il libro parla a ciascun lettore che in quella storia si può ritrovare.
Quello che voglio esprimere è appunto la convinzione ferrea che questo background non ci paralizza, non ci determina senza seconde, terze, quarte occasioni: il mio protagonista ci mostra che abbiamo sempre la possibilità di prendere in mano la nostra vita e farne un’esperienza unica e piena. Questa certezza e questa concreta speranza è ciò che voglio condividere con chi mi legge”.
Questo è il tuo romanzo d’esordio: che tipo di scrittrice hai scoperto di essere e pensi di continuare a raccontare storie?
“Mi auguro che questo sia solo un primo passo e che con infinite letture, studio, esercizio e confronti io possa continuare a crescere e ad esprimermi in questa modalità. Sono una persona che si stupisce continuamente per tutto il bello in cui si imbatte, che rimane ammaliata dall’unicità che si nasconde nelle vite apparentemente ordinarie di ciascuno, che ama trovare negli incontri fatti quel messaggio di passione per la vita di cui abbiamo tanto bisogno.
Quindi spero di riuscire a continuare a parlare di emozioni, attingendo per le mie narrazioni a storie vere da sviluppare, approfondire e far conoscere. Ho un paio di progetti nel cuore, uno in particolare per il quale per ora mi sto documentando con numerose letture e incontri; sto cominciando ad abbozzare in questo periodo le prime pagine e sento già crescere l’emozione del raccontare”.