Sono trascorsi sei anni dalla pandemia di H5N1v2, la mutazione del virus dell’aviaria che ha dato il via all’apocalisse zombie. Domenico, suo figlio e la moglie Lucrezia, scampati per il rotto della cuffia a orde di non-morti famelici, sono riusciti a sopravvivere fino a oggi.
L’isolamento della famiglia è bruscamente interrotto da un’automobile che si schianta contro una cabina elettrica. All’interno una giovane donna in travaglio sta dando alla luce suo figlio. Appena il bimbo è nato la madre taglia tre pezzi di cordone ombelicale e chiede a Domenico di consegnarli al distretto militare di Torino. Ottenuto ciò che voleva la donna estrae una pistola, uccide il neonato e si spara. Chi era la donna? Perché quel pezzo di materiale organico è così importante? E soprattutto Domenico e la sua famiglia sono pronti a rischiare tutto per portare a termine una missione di cui non sanno nulla, addentrandosi nel pericoloso territorio della città morta, Torino?
Come si è sviluppata l’idea del romanzo Zetafobia?
“L’idea è nata quasi per caso, al termine della lettura dell’ennesimo romanzo zombie ambientato in America. Mi sono chiesto: “E se succedesse davvero? Qui da noi, in Italia, come riusciremmo a sopravvivere?”
Da quel momento in poi è stato tutto in discesa”.
Con quali parole definiresti Zetafobia 2 La città morta e come ti sei appassionato al genere fantascientifico?
“Lo definirei “un viaggio nell’orrore”, perché in fondo di quello si tratta, una passeggiata in una città che dopo averti cresciuto e sfamato, ora cerca di ucciderti. È una visione distopica di un futuro improbabile, ma che affonda le proprie radici nei ricordi e nelle paure collettive.
Stesso dicasi per il mio approccio con la fantascienza: è datato. D’altronde ho passato il mezzo secolo, perciò posso affermare di esserci cresciuto insieme alla fantascienza. Ne sono stato affascinato fin da bambino, e ho avuto il privilegio di poter andare al cinema a vedere i film di Star Wars, Dune, Alien e via dicendo, strizzando l’occhio alle letture di Asimov e Lovecraft.
Però, devo confessare che il mio eroe fantascientifico preferito era il Dottor Who, serie britannica che guardo ancora oggi”.
Parlaci dell’ambientazione del libro e delle scelte a essa legate
“Il consiglio che danno tutti i corsi di scrittura creativa è: scrivi di ciò che conosci. È un ottimo consiglio e ho deciso di seguirlo, perciò Zetafobia è ambientato a Torino, la città dove sono nato e cresciuto e dove tutt’oggi abito.
Una delle cose più divertenti durante la prima stesura è stato andare a visitare fisicamente i posti in cui sarebbero state ambientate scene o capitoli, così da toccare con mano i suoni e i profumi per poi traslarli su carta. Ho fatto anche parecchie foto, con i passanti che mi guardavo e si chiedevano cosa mai ci potesse essere di così interessante in un incrocio o in un parcheggio. Conoscendo i luoghi mi è stato facile renderli vividi, e poi si sa, Torino è una città magica”.
Che personaggio è Domenico e in che rapporto sta con gli altri protagonisti?
“Domenico è il protagonista e al suo fianco troviamo la moglie, Lucrezia, e il figlio, Sebastiano. Sono una famiglia e come tutti i nuclei famigliari hanno abitudini, modi di comunicare e problemi tutti loro. Le dinamiche familiari, anche quelle quotidiane, si innestano in un mondo popolato di zombie creando non pochi problemi.
Sebastiano, poi, è un adolescente in piena tempesta ormonale e sta attraversando quella fase della giovinezza in cui i genitori non capiscono nulla. Già normalmente sarebbe una condizione stressante, ma in mondo post-apocalittico popolato di non-morti cannibali la situazione diventa insostenibile, con tutti gli sviluppi del caso”.
Quali temi emergono dalla tua narrazione e cosa vuoi trasmettere?
“Credo che il tema principale sia l’amore per la famiglia e l’importanza e la centralità della stessa. È vero che il protagonista è Domenico, ma senza Lucrezia e Sebastiano lui non sarebbe lo stesso personaggio. Si rispecchia in loro e loro in lui, sono parte di un gruppo, e nel gruppo ognuno trova la propria forza.
È una specie di richiamo alla speranza, a volte disperata, ma mai perduta”.
Zombie, Pandemia, Non-morti e antidoti: cosa ha ispirato la tua creatività letteraria?
“Letture, film, serie televisive, videogiochi e giochi di ruolo come Dungeons and Dragons. Sono un “nerd” della prima ora, appassionato di tutte queste cose fin dagli anni ’80, un periodo d’oro. Ho pescato molto da dall’immaginario “pop” di quel periodo e anche dalla mia adolescenza.
In Domenico c’è anche una piccola parte di me”.
Con il primo libro di Zetafobia sei arrivato finalista al Premio Odissea: te lo aspettavi e vuoi raccontare qualcosa a riguardo?
“È stata una bellissima sorpresa del tutto inattesa. Speravo di aver scritto qualcosa di valido, però non spettava a me giudicare.
Alla fine della selezione mi hanno inviato una scheda dettagliata con tutti i punti di forza e di debolezza del romanzo e devo dire che avevano ragione. Mi sono messo sotto e ho corretto quello che non andava poi ho proposto alla DELOS di pubblicare il romanzo e loro hanno accettato. È stato davvero un gran bel momento”.
Possiamo aspettarci un seguito?
“Sì. In questo momento sto scrivendo Zetafobia 3, che chiuderà il ciclo di Domenico e della sua famiglia.
Punto a un uscita di scena col botto, e credo di non sbagliarmi se dico che ci saranno molte sorprese inaspettate”.