Il petrolio “sporco” è stato scoperto da poco, in Canada. Ha trasformato la provincia di Alberta in una delle regioni più ricche del pianeta. Ma che succede se i giacimenti si trovano proprio nei territori occupati dalle riserve indigene? Gli “indiani” combattono la loro battaglia contro l’invasione delle scavatrici, la devastazione della loro terra, l’inquinamento dei laghi e la deforestazione totale, ma sembrano destinati a soccombere, come è puntualmente accaduto nel corso della storia. Però succede qualcosa, in un sito di estrazione, che sfugge al controllo di tutti, vittime e carnefici. Uno scienziato del Politecnico di Losanna, studioso delle origini della vita sulla terra, potrebbe conoscere e interpretare il misterioso fenomeno che sta investendo la regione. Parte alla volta del Canada per fare luce sugli avvenimenti, ma scopre presto una realtà occulta. Gli avvenimenti precipitano velocemente. Deve cercare aiuto per sopravvivere ai rischi di cui la sua scoperta lo ha esposto. Come gli indigeni deve combattere la sua battaglia per sopravvivere. Lo fa in un modo che lo coinvolgerà in una girandola di avventure e di colpi di scena che avranno un impatto del tutto inimmaginabile sulla sua vita e sulle sue ricerche scientifiche.
Marco Ghiotto è co-autore di: Soffia forte il vento nel cuore di mio figlio (con C. Bocca, Mondadori, 2016. È vincitore del Premio Zanibelli Sanofi 2017 per Leggi in salute, opere edite Senza Pelle (C. Bocca e M. Ghiotto, Uno Editori, 2019) I suoi romanzi Chi conosce Lara Petrova? e Il secondo Big Bang (2022) sono stati finalisti del premio Io Scrittore (Longanesi – Mauri Spagnol) rispettivamente nel 2020 e nel 2021. Quest’anno, è di nuovo finalista di Io Scrittore con Il fantasma di Montecassino. Ha pubblicato, con Mondadori Electa, vari libri da tavolo su Italian lifestyle risultando vincitore nel 2013, 2014 e 2015 della sezione italiana del Premio Gourmand International, Eduard Cointreau, poi terzo e secondo, a livello mondiale, nel 2013 e 2015. Marco Ghiotto ha diversi lavori inediti nel cassetto.
Come è nata l’ispirazione per la scrittura de Il secondo Big Bang e cosa ha influito sull’ideazione della trama?
“Nel 2019, sono stato invitato al CERN di Ginevra per assistere a una conferenza del prof. Zichichi, allora novantenne, ma in forma intellettuale smagliante. Il CERN è un ambiente intrigante e puramente “Dan Brown”: l’occhio attento dell’autore trova misteri e spunti dappertutto. Zichichi ha parlato della genesi della vita sulla terra, l’ha definita un “secondo big bang.” Cito testualmente: “Comprendere i meccanismi che hanno trasformato pietre e lava in microrganismi è la sfida di molti studiosi, oggi. Chi trova il segreto potrà riprodurre la vita dal nulla. Esistono decine di laboratori che studiano segretamente il tema.”
Figuriamoci, mi sono subito lanciato a studiare una trama, un intrigo. Dan Brown mi ha contagiato. Una settimana dopo, ho assistito al Festival del Cimena Verde, sempre a Ginevra. Un film mi ha sconvolto: Questo cambia tutto. E’ il resoconto della devastazione, sconosciuta ai più, che sta avendo luogo in Alberta, Canada, dove l’estrazione delle scisti ha rivoluzionato il paesaggio e creato il danno ecologico di più vasta scala del pianeta, più dell’isola di plastica nel Pacifico. Un danno totale che tocca l’inquinamento dell’acqua e della terra, la deforestazione, l’effetto serra, la desertificazione e l’impatto sulla vita della fauna e degli umani in termini di malattie genetiche incurabili. Un danno purtroppo quasi irreversibile, senza che nessuno degli attori abbia intenzione di fermarsi. Volevo dire qualcosa, esprimere la mia rabbia.
Il dilemma è stato a quale delle due trame dare la precedenza? All’intrigo sulle origini della vita o al dramma canadese? Ho scelto la strada più difficile: la fusione dei due plot in uno. Così è nato il romanzo, finito poche settimane prima dello scoppio del COVID e per questo rimasto nel cassetto per quasi due anni”.
Parlaci della scelta del titolo
“Gli scienziati hanno “archiviato” il big bang che tutti consociamo, la genesi dell’universo. Non sanno se e quando il suo mistero si scioglierà, ma il fenomeno è –per loro- ben noto e ormai non li affascina più di tanto. L’origine della vita invece è un tema attualissimo e appassiona il mondo scientifico perché ha dei risvolti non solo “culturali” ma commerciali. Enormi, smisurati. La considerano un altro big bang, il secondo, così come i meccanismi che danno origine alla ragione negli esseri viventi è il terzo. Io ho scelto il secondo”.
Sono presenti numerosi personaggi che danno vita a un intreccio fitto di storie: a quale di loro sei più legato e perché?
“Volevo scrivere la storia di Patrick, la parabola dello scienziato belloccio, di successo, abile oratore, che si ritrova in un intrigo pericolosissimo, che perde i riferimenti, che non sa che farsene della sua bella barba da hipster e la sua arroganza. Rischia di soccombere. Un bel romanzo di formazione. Poi è arrivata Columpa, era la “spalla”, la sparring partner di Patrick, una creatura segnata da un destino triste che l’ha piegata, ma che non ha mai smesso di combattere e di farlo col cuore… e con qualche colpo basso, se necessario.
Alla lunga, mi sono affezionato più a lei perché personifica il dolore dei nativi, di una popolazione decimata, vessata, abusata, sottomessa con la violenza. Scrivere di Columpa mi ha fatto sentire addosso tutto il peso di una colpa che è costata infinite tribolazioni a genti pure, in simbiosi con la terra che hanno calpestato per dieci millenni, la cui unica sfortuna è stata di vivere il loro sogno in un continente di ricchezze senza limiti, che ha decretato la loro condanna”.
Fra gli altri temi presenti, affronti con lucidità argomenti attualmente molto urgenti come l’inquinamento, la deforestazione, lo sfruttamento ambientale: che tipo di prospettiva emerge dalla narrazione?
“Volevo andare giù forte, denunciare, gridare la sofferenza della terra e degli esseri viventi, ma non trasformare la catastrofe che si compie quotidianamente in Alberta in una replica scritta in forma di romanzo. La tragedia emerge, credo sia ben evidente e descritta con dovizia di dettagli, ma la storia evolve verso un finale più agro che dolce, ma non definitivamente cupo perché non sono pessimista e spero sempre che il buon senso risvegli le coscienze di tutti”.
Il tuo romanzo è anche una forma di denuncia ai poteri forti e al progresso dissennato: ti va di dirci di più a riguardo e che ruolo assume la figura della giornalista Columpa Cree?
“Da noi i poteri forti si riconducono tutti, più o meno brutalmente e indistintamente, alla parola mafia. Fuori, la mafia assume connotati strettamente criminali, tutto il resto spazia su sfumature più diplomatiche: le corporation, la finanza, la politica di sviluppo economico, le ONG… ma persegue i suoi obiettivi con gli stessi metodi. Per esempio, mi sono chiesto se i mostruosi incendi che hanno devastato mezzo Canada, e specialmente la provincia di Alberta, dove si volge il romanzo, la principale produttrice del petrolio sporco alla base della trama, non siano di origine dolosa.
Il governo canadese ha più volte imposto un tetto alla produzione e alla deforestazione ma la Provincia, spalleggiata dalle multinazionali, tra cui l’ENI, ha minacciato una “guerra di secessione,” un Alberexit e ha chiaramente fatto capire che non si fermerà. In fondo, se tutto brucia, non c’è più nessuna foresta da tagliare e nessun ecologista potrà lamentare il taglio degli alberi, no?
Columpa ha il ruolo, difficile, di Cassandra, dell’eroina che vede e premonisce, menomata nei mezzi a disposizione e nel fisico. Supplisce al suo handicap con il coraggio di una guerriera e un’intelligenza affilata come la lama di un bisturi. Si protegge con una corazza dura, ma sotto il suo cuore batte così forte…”
Definisci Il secondo Big Bang con tre aggettivi e chi credi possa essere il suo lettore ideale?
“Tre aggettivi e un avverbio. Molto realistico, incalzante, sferzante”.
Come scrittore emergente, che genere di narrativa ti contraddistingue?
“Mi piacciono i thriller, ma non solo e senza le indagini tradizionali, senza i commissariati, senza gli indizi che si accumulano, senza alluvioni di sangue e di mutilazioni. Un tempo mi prendevano, oggi tra saghe di commissari, serie televisive e via andando, mi son venuti a noia. Quando scrivo, mi piace creare attesa, per me un bel libro è uno da cui ci si stacca a fatica. Tendo a scrivere storie cariche di suspence, ma non necessariamente thriller. Amo documentarmi e ambientare le storie storicamente o socialmente, in modo da renderle più possibili reali”.
Hai altri progetti in corso?
“Con Il Secondo Big Bang sono stato finalista del Premio Io Scrittore di Longanesi. Non ho vinto e allora ci riprovo quest’anno con una storia molto coinvolgente, sempre venata di thriller, sempre arrivata in finale nello stesso concorso (chissà, stavolta che succederà?). Chi l’ha letta dice che ricorda il Nome della rosa, ma non è così. È solo ambientata in un monastero ove aleggia un mistero tetro e avvincente. Siamo nel 1944 e spetta a una novizia coraggiosa risolverlo, tra furti di opere d’arte, sabotaggi ai nazisti e caccia ai fantasmi. Si intitola Il fantasma di Montecassino. Spero in libreria tra non molto…”