Roma – Con l’ordinanza n. 16361 dell’8 giugno 2023, la Corte di cassazione, accogliendo un ricorso presentato dall’Amministrazione finanziaria, ha cancellato la decisione dei giudici tributari di merito per aver ritenuto superata la presunzione di maggior reddito con la semplice allegazione da parte del contribuente del fatto di non aver potuto fornire la documentazione contabile richiesta dall’ufficio, in quanto rubata.
Con la medesima ordinanza, i giudici romani hanno altresì chiarito, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, come il discrimine tra l’accertamento con metodo analitico extracontabile e quello con metodo induttivo stia, rispettivamente, nella parziale o assoluta inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili. Nel primo caso, infatti, l’incompletezza, falsità o inesattezza degli elementi indicati non è tale da consentire di prescindere dalle scritture contabili, in quanto l’ufficio può solo completare le lacune riscontrate, utilizzando ai fini della dimostrazione dell’esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati, anche presunzioni semplici; nel secondo caso, invece, le omissioni o le false o inesatte indicazioni risultano tali da inficiare l’attendibilità e, dunque, l’utilizzabilità, ai fini dell’accertamento, anche degli altri dati contabili apparentemente regolari, cosicché l’Amministrazione finanziaria può prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili ed è legittimata a determinare l’imponibile in base a elementi meramente indiziari.
Il fatto e il ricorso in primo e secondo grado
Con apposito avviso di accertamento l’Agenzia delle entrate contestava a un contribuente, già titolare di una ditta individuale, di essere socio di una Società a responsabilità limitata, che doveva essere considerata, assieme alla ditta individuale, un unico centro di imputazione di volontà ed interessi.
L’ufficio riteneva infatti che Srl e ditta individuale fossero un unico soggetto di imputazione fiscale sulla base della considerazione che i componenti della Srl fossero solo quattro persone appartenenti alla medesima famiglia (contribuente, moglie e figli), che la stessa Srl avesse come unico cliente la ditta individuale la quale, a sua volta, non aveva alcuna struttura autonoma, né linea telefonica o altri caratteri distintivi rispetto alla Srl.
Il contribuente non rispondeva alle richieste di chiarimenti avanzate dall’Amministrazione finanziaria, né allo scopo era sufficiente la scarna documentazione acquisita dal Fisco presso la sede societaria, con la conseguenza che la procedura di accertamento con adesione non andava a buon fine.
Il contribuente proponeva, quindi, ricorso giurisdizionale dinanzi ai giudici tributari di merito i quali, sia in primo che in secondo grado, davano ragione al ricorrente ritenendo errata la ripresa a tassazione operata dal fisco in quanto aveva integrato le scritture contabili applicando alla ditta individuale il parametro di redditività degli operai della Srl, pur trattandosi di realtà aziendali diverse.
I magistrati di merito, inoltre, ritenevano superata la presunzione di maggior reddito avanzata dal Fisco con la semplice allegazione da parte del contribuente del fatto di non poter fornire la documentazione contabile richiesta, in quanto oggetto di furto.
Avverso tali determinazioni della Corte di giustizia tributaria di primo e secondo grado, l’Agenzia delle entrate ricorreva in ultima istanzi dinanzi la Corte suprema di Cassazione.
La decisione dei giudici di Cassazione
Chiamati a pronunciarsi sulla questione, i giudici di legittimità hanno accolto il ricorso del Fisco e cassato la decisione dei giudici tributari di merito.
I magistrati di piazza Cavour hanno, infatti, ricordato come sia ormai consolidato orientamento giurisprudenziale quello in base al quale la mancanza, anche incolpevole, delle scritture contabili non solleva il contribuente dall’onere di una prova contraria, che nel caso di specie non è stata fornita, capace di superare le presunzioni previste dagli articoli 38 e 39 del Dpr n. 600/1973 dettate in tema di accertamento analitico e accertamento induttivo.
E il discrimine tra i due tipi di accertamento, hanno proseguito i giudici romani, richiamando anche la sentenza della Cassazione, V sezione, n. 6861/2019, risiede nella parziale o assoluta inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili.
Nel caso, infatti, di accertamento analitico extracontabile l’incompletezza, falsità od inesattezza degli elementi indicati non è tale da consentire di prescindere dalle scritture stesse, in quanto l’ufficio può solo cercare di colmare le lacune riscontrate utilizzando ai fini della dimostrazione dell’esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati, anche presunzioni semplici aventi i requisiti di cui all’articolo 2729 del codice civile, ovvero presunzioni gravi, precise e concordanti.
Nell’accertamento induttivo, invece, le omissioni o le false o inesatte indicazioni risultano talmente gravi da inficiare l’attendibilità e l’utilizzabilità anche degli altri dati contabili apparentemente regolari, con la conseguenza che l’amministrazione accertatrice può prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili ed è legittimata a determinare l’imponibile in base a elementi meramente indiziari, anche se inidonei ad assurgere a elementi presuntivi di prova presuntiva ai sensi degli articoli 2727 e 2729 del codice civile.
Proseguendo, la Corte ha analizzato la doglianza del Fisco, che ha criticato la sentenza di secondo grado dei giudici tributari per aver ritenuto incongruo il parametro di ripresa a tassazione operato dall’ufficio, che aveva applicato a una ditta individuale i criteri di una Srl.
Ebbene, sul punto i magistrati di ultima istanza hanno evidenziato come i giudici di merito non abbiano, errando, tenuto in debito conto la presunzione indiziaria di unicità della struttura aziendale fra Srl e ditta individuale, desunta dalla medesima linea produttiva e dall’assenza di struttura propria della ditta individuale che, peraltro, costituiva unico cliente della Srl, che a sua volta veniva portata avanti anche con conduzione antieconomica.
L’Amministrazione finanziaria, ha infatti chiarito la Corte, “in presenza di contabilità formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente può desumere in via induttiva, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, commi 2 e 3, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo su quest’ultimo l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni.”.
E anche in merito alla presunzione di unitarietà delle due imprese, non risultano, nel caso in esame, allegazioni e prove fornite dal contribuente volte a superare la presunzione medesima.
Nei termini sopra visti si era, peraltro, già espressa sul punto la sentenza della stessa Corte di cassazione con la decisione n. 35713/2022.
In conclusione, per quanto esaminato, il Collegio di legittimità, pronunciandosi definitivamente, ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle entrate stabilendo che è preciso onere della parte fornire una concreta prova contraria capace di superare le presunzioni utilizzate dal Fisco nella sua attività di accertamento e previste dagli articoli 38 e 39 del Dpr n. 600/1973.
E questo anche in ipotesi di perdita incolpevole, come nel caso di furto, della documentazione contabile stessa.