Luigi Lilio, un mistero da approfondire e la riforma del Calendario Gregoriano

di MARIA FRANCESCA CARNEA

La cultura dei territori necessita di un ricercato processo evolutivo, corredato da tracce antropologiche della storia, della filosofia, della comunicazione politica, della sociologia, tracce che attraverseremo con abituale onestà intellettuale. Occorre farsi, anzi meglio essere atopos, cioè liberi da condizionamenti della propria terra, e del proprio tempo, per affrontare questioni senza pregiudizi.

 

Tratteremo di Luigi Lilio/Giglio, del suo essere un italico matematico mistero, tutto ancora da approfondire, legato alla riforma del Calendario, attuale Calendario Gregoriano.

 

L’arma più efficace per innovare società, e attrarre attenzione, è la Cultura sana, fonte di civiltà, che permane negli argini e non straripa in altro da sé. È la conoscenza sana il reale motore per una renovatio sociale e suo sviluppo. Un approccio conoscitivo, provvisto di elementi di ragionevolezza, amplia visione d’indagine storico filosofica: so di non sapere è l’arte del buon sapere, dà senso alla conoscenza che indirizza verso la verità assoluta, e diventa ratio di impegno concettuale, esplorativo. Il Filosofo osa il pensiero alla meraviglia, infatti, secondo K. Popper, ogni conoscenza scientifica che noi riteniamo ricavata per via empirica è in verità dedotta dai nostri schemi mentali e veicolata inconsciamente sui dati reali. Per onestà intellettuale occorre dunque ammettere che la scienza procede solo per deduzione; si tratta della cosiddetta “teoria del faro”, o del metodo per tentativi ed errori, il quale parte da ipotesi iniziali, del tutto congetturali, in grado di prevedere delle conseguenze tangibili che di volta in volta vengono messe alla prova. Va da se che, dai singoli fatti non si possono mai ottenere conferme della teoria ipotizzata, ma solo smentite. È dato imprescindibile tenere conto di testo e contesto per ogni questione cui si pone interesse.

 

Il sapere cresce solo con il rispetto del dialogo e nel contraddittorio, a questi si aggiunge l’interazione umana, siamo animali sociali per natura, e sono caratteri fondamentali soprattutto per chi ricopre cariche pubbliche. Ancor più Cultura si rispecchia nella definizione con cui Tommaso d’Aquino sintetizza il carisma domenicano, e cioè “Contemplari et contemplata aliis tradereattingere le verità contemplate e agli altri trasmetterle. Infatti, ci insegna l’Aquinate: come è meglio illuminare che non semplicemente brillare, così è meglio comunicare agli altri ciò che si è contemplato, che non contemplare soltanto. (IIa IIae, q. 188, a.6, c.).

Cultura è, dunque, sensibilità e non chiede assolutamente visioni di parte, tanto meno interpretazioni astratte, strumentali, prive di fondamento. Richiede il rispetto degli astanti e contestualizza, mai allontanandosi dalla realtà, piuttosto che de-Istruendo nelle scuole, o alimentando spaccature nelle comunità, o professando verbo falso da pulpiti, poiché ha in sé -la Cultura- la trasmissione della verità. Soprattutto non nega l’evidenza, non è omertosa, ma urla la sostanza della luce di intelletto.

 

La bellezza di un territorio si esprime anche con il desiderio di conoscerlo in profondità, come si fa quando ci si innamora. E della propria terra madre non si può non esserne inamorati. Ecco che trovo stimolante scrutare la figura enigmatica di Luigi Lilio/Giglio. Chi è? Da dove viene? Cosa caratterizza la sua ingegnosità? Perchè sfugge nella storia? Interrogativi in cui immergesi, da investigare, seguendo la cosiddetta teoria del faro, includendo verità relative, per tendere a verità assoluta, laddove si giungesse.

 

Non pongo indagine sul notevole e apprezzato lavoro di equazioni e calcoli che condusse alla riforma del Calendario Gregoriano, piuttosto si indaga la tesi, quaestio disputanda, sul da dove viene Aloisius Lilius. E se per la conoscenza delle cose di Dio occorre lauto discernimento, munifico acume, per le cose degli uomini, invece, si può giungere ad una comprensione razionale, non esistono saperi pontificali, verità rivelate da non indagare, né monopoli di esclusività. Esiste la conoscenza da ricercare, e di cui illuminare, in verità.

 

Certo, dall’antichità ad oggi più ‘Calendari’, si sono succeduti, una storia caotica contraddistingue la storia dell’uso del calendario che, prima della riforma di Giulio Cesare, prevedeva il 13° mese, cosiddetto Mercedonio, intercalare dell’antico calendario romano -lunare-, di 27 giorni, mese poi eliminato. Subentrò, appunto, il calendario Giuliano, istituito da Giulio Cesare nel 46 a. C. Per la realizzazione dello stesso, Cesare si servì delle competenze dell’astronomo Sosigene di Alessandria, – chiaramente, il calendario è noto, logicamente, come Giuliano e non come sosigeno.

È una storia caotica quella dei calendari segnata da un filo sottile che li accomuna, un sottile filo di inquieto disordine, mi piace definirlo, tendente alla perfettibilità che menti acute hanno cercato, mirabilmente, di affinare, per misurare il trascorrere dei giorni dettato da cadenze, opportunità sociali, politiche, religiose.

 

E apriamo piccole finestre sul perché la riforma del Calendario fu tema pregnante per la Chiesa.

 

Nel 313 venne emanato l’Editto di tolleranza, o di Milano, editto voluto dai due imperatori di allora, Costantino I e Licinio, in cui il cristianesimo veniva ammesso allo Stato romano come religione lecita, quindi quanti si professavano cristiani non erano più soggetti a persecuzione. Con il regno di Teodosio I, il cristianesimo diviene  religione ufficiale dello Stato romano (380). E, ritornando a Costantino I, fu lui a indire il Concilio di Nicea (325) in cui s’introdusse la scelta di celebrare la Pasqua.

 

La festa più sacra per i cristiani era complicata dal fatto che la resurrezione di Gesù ebbe luogo durante la Pasqua ebraica, che viene celebrata in conformità delle fasi lunari del calendario ebraico. Ne consegue che, rispetto al calendario solare di Cesare, la data della Pasqua cristiana, è destinata a non essere fissa ma a variare di anno in anno. A Nicea, a causa anche di un crescente antisemitismo tra i cistiani non ebrei, si stabilì di legare la resurrezione di Cristo al calendario di Cesare, utilizzando l’equinozio di primavera come riferimento fisso per la determinazione della Pasqua cristiana. E si stabilì: la Pasqua cadrà la prima domenica successiva al primo plenilunio, dopo l’equinozio di primavera. Fu anche stabilito che la Pasqua cristiana non dovesse essere mai celebrata il giorno dell’inizio della Pasqua ebraica. Laddove, dai calcoli, fosse emersa una coincidenza di date, la celebrazione doveva essere spostata alla domenica successiva.

 

Ecco che, nel 325 Costantino prese l’iniziativa di convocare un Concilio ecumenico, l’intento era quello di unificare la data della Pasqua. Venne fissata quell’anno il 25 aprile. La pasqua varia tra il 21 marzo e il 25 aprile perché deve tener conto di tre fattori: l’equinozio di primavera; il 14 della prima luna, memoria della Pasqua ebraica, la domenica, memoria della resurrezione di Gesù. Costantino lascia una importante traccia nel calendario giuliano, con tre integrazioni: Introduzione della domenica come giorno festivo; Il riconoscimento ufficiale di festività cristiane in date prefissate, come il Natale, che i cristiani iniziano a festeggiare solo intorno al IV scolo d. C.;  L’innesto della celebrazione della Pasqua non officiata in una data fissa, e non sappiamo quando i discepoli di Gesù abbiano cominciato a celebrare la loro Pasqua.

 

Si giunge al Concilio di Trento, che si svolse dal 1545 al 1563. Fu convocato come risposta alla riforma protestante e produsse la controriforma, cioè l’insieme di misure di rinnovamento spirituale, teologico, liturgico con le quali la Chiesa cattolica riformò le proprie istituzioni. Si discusse dell’esigenza di un nuovo Calendario, ancor più perché la festività della Pasqua, si stava progressivamente spostando oltre primavera.

Ecco che divenne assai pregnante pensare a una riforma.

 

Gregorio XIII, nel 1572 venne eletto Papa e si mosse per portare a compimento ciò che il Concilio di Trento affidò alla sede apostolica, compresa la questione legata alla riforma del Calendario.

Il Giubileo indetto con la Bolla “Dominus ac Redemptoris noster” del 1575 fu una felice occasione per Gregorio XIII, di attuare riforma del calendario, che prese logicamente il suo nome: gregoriano, e rinnovare la cattolicità nella linea delle decisioni del Concilio di Trento, dopo la tempesta della crisi protestante.

Fu proprio nel 1575, infatti, che istituì una Commissione composta da nove membri, incaricata di risolvere il problema. Di tale commissione fecero parte: il rinomato matematico gesuita tedesco Christoforus Clavius, docente nel Collegio Romano; il domenicano perugino Egnazio Danti, cartografo, matematico e cosmografo pontificio, cui si deve la realizzazione della meridiana della Torre dei Venti in Vaticano, un osservatorio astronomico fatto costruire da Gregorio XIII, che lo aveva tanto in stima; Vincenzo di Lauro, di Tropea, vescovo di Mondovì, astronomo e medico;  Serafino Olivier, di Lione, Uditore di Rota, il Cardinale Guglielmo Sirleto, calabrese di Guardavalle, Pedro Chacón, teologo spagnolo, esperto in patristica; Ignazio Nehemet, patriarca di Antiochia di Siria; Antonio Lilio, laico, fratello di Aloisius Lilius; Leonardo Abel, di Malta, interprete di lingue orientali.

 

Furono diversi i progetti di riforma del calendario presentati alla Commissione. Fu considerata la proposta presentata da Antonio Lilio per conto del fratello Aloisius Lilius, per cui, attenzione, il Papa non nominò, nè incaricò Aloisius Lilius, ma attraverso la Commissione se ne vagliò proposta. Nel frattempo, Aloisius Lilius era morto, per questo nella commissione è menzionato Antonio di lui, detto, fratello. La Commissione nel 1577 redasse il Compendium novae rationis restituendi Calendarium a Gregorio XIII Pontefice Maximo, che fu inviato ai principi cristiani, affinché ponessero la proposta del progetto di Aloisius Lilius al vaglio dei matematici, studiosi delle università europee. Non c’è nessuno scandalo nel confutare contributi, apprezzabile il desiderio della disamina poichè in una Commissione, comitato designato, non sono importanti i meriti di alcuno poiché valgono i meriti di tutti.

 

Ora, negli studi di Romano Gatto, come evidenziato nella Ia Giornata Regionale del Calendario in memoria di Aloysius Lilius, del 21 marzo 2013, svoltasi a Cirò -, permettetemi di ricordare con affetto l’amico, Prof. Pietro De Leo, che fu presente anche in quella circostanza -, la tavola delle epatte, emanata il 24 febbraio 1582, non coincide perfettamente con quella del Compendium e questo perché Christoforus Clavius, durante i lavori della Commissione, vi apportò alcune lievi modifiche. Si tratta di modifiche che riguardano il calcolo, non la ratio con cui il ciclo delle epatte era stato concepito da Lilius.

Questo aspetto fu fatto rilevare dallo stesso Clavius che, nella sua Novi Calendari Romani Apologia (1588), insieme con il ciclo delle epatte sancito dalla riforma del 1582, pubblicò anche quello del Compendium perché si potessero notare le lievi correzioni da lui apportatevi pur riconoscendo Lilius come autore della riforma. I miglioramenti di Clavius, dunque, non interessarono l’architettura del ciclo delle epatte ideato da Lilius, ma il calcolo. E mentre Lilius adoperò le tavole astronomiche che avevano fatto il loro tempo, cioè le Tavole alfonsine, risalenti al 1252, Clavius invece si servì delle Tavole pruteniche, pubblicate nel 1551 da Erasmus Rehinolds costruite sulle più recenti e accurate osservazioni di Niccolò Copernico. Di Clavius fu l’idea di togliere tutti insieme 10 giorni dal calendario del 1582, dal 5 al 14 ottobre 1582, null’altro di sostanziale fu da lui introdotto nell’architettura del ciclo delle epatte di Lilius. Così Romano Gatto.

 

In seguito alla redazione del Compendium, uscirono numerose pubblicazioni di studiosi che attaccavano la riforma del calendario, ritenendola scientificamente errata. A Clavius, per altro, toccò il compito di pubblicare il nuovo calendario, spiegare le ragioni della riforma e soprattutto difenderla dagli attacchi durissimi di teologi e scienziati protestanti. Per difendere la riforma da questi attacchi Clavio pubblicò nel 1588, il Novi Calendarii Romani Apologia adversus Michaelem Maestlinum e nel 1603, su incarico di Clemente VIII, un esteso trattato esplicativo sulla riforma, il Romani Calendarii a Gregorio XIII P.M. restituti explicatio. A questa pubblicazione furono allegati i 6 Canoni che spiegano le norme applicative della riforma, in cui più volte si rimanda al Liber novae rationis restituendi kalendarii Romani, e anche una copia del Compendium.

 

Vediamo bene come nè Antonio Lilio, nè il Card. Sirleto, si spesero così tanto per sostenere le ragioni della riforma. Ciò potrebbe indurre a chiedersi: perché fu Clavius ad investirsi di una così estenuante difesa?, e a tal punto determinata? Certo, ed è indubbio che il ruolo di Christoforus Clavius, fu preminente, grande studioso di matematica e astronomo, fu anche personaggio di spicco del dibattito sul copernicanesimo. L’astronomia copernicana ebbe, dunque, più che solo un ruolo, nella riforma del Calendario e, certo, forzatamente velato. È noto, infatti, che la Chiesa, a quei tempi, non vedeva di buon occhio la teoria eliocentrica, e cioè la dottrina astronomica che, in opposizione al geocentrismo, poneva il Sole al centro del sistema planetario. Dopo aspre contese, e questo fu motivo per Copernico di far pubblicare le sue teorie dopo la sua morte, avvenuta nel 1543, la concezione eliocentrica si sostituì a quella geocentrica di Tolomeo.

 

Ma ENTRIAMO ORA NELLA DISAMINA su ALOISIO LILIO

Affascina e chiama alla riflessione l’ambivalenza della parola skèpsis che in greco significa al contempo ‘dubbio e ricerca’. Nel dubbio si alimenta la conoscenza, nella ricerca si intercettano elementi di ragionevolezza atti alla comprensione del bene del sapere. Ed è risaputo che il rigore scientifico apre a orizzonti inattesi.

Il 24 febbraio del 1582 Gregorio XIII pubblicò la riforma del calendario, lo stesso fu emendato il 4 ottobre del 1582. Il libro di Aloisius Lilius è rimasto manoscritto ad oggi introvabile. Perdurano interrogativi,  astrattezze, interpretazioni, ipotesi che non determinano esaustiva conoscenza dell’affascinante personaggio Lilius, e del fratello Antonio. Ecco che, attualmente, addurre appartenenze è precipitoso.

Abbiamo un’unica certezza, cioè la promulgazione del Calendario ad opera di Gregorio XIII, attraverso la bolla Inter gravissima/Tra le cose gravissime, che pose fine all’utilizzo del Calendario Giuliano.

Ora, di Aloisius Lilius, e sua figura, dati biografici permangono incerti, alcuni lo confondono con il veronese Luigi Lilio Giraldi di Ferrara; c’è chi lo vuole napoletano, chi perugino, chi di Cirò. Qualcuno era convinto che fosse romano, altri fosse di Strongoli, altri lo dicono di Umbriatico.

E non dissolve dubbi sui natali di Aloisius Lilius quanto scrisse nel 1603 il cardinale Clavius: “Atque utìnam aut Aloysius Lilius Hyphchroneus vir ìmmortalitate dignissimus qui tam egregia correctionis primus auctor fuir…”, “E quanto è degno di immortalità Aloysius Lilius Hyphchroneus colui che fu il primo autore di una così eccellente correzione…”. Questo Hypsichronaeus citato da Clavio, posto che non faccia riferimento a un dato climatico, ‘realtà fresca -che investì lo studio di riforma del calendario-,  viene interpretatato per: di Hypsichròn. Con tale denominazione, Ypsicròn, si riporta indicare Cirò, ma per la composizione e schema di insediamento tra gli antichi, Ypsicròn indica, piuttosto, una frazione dell’attuale Cirò, antica Chone (KR).

Le frazioni costituiscono un retaggio antico, già nell’età del bronzo, del ferro. Sui territori si conservò la fisionomia a nuclei sparsi di insediamenti, comunità di villaggio strutturate in nuclei familiari estesi. Ed erano frequenti, dunque, nei tempi antichi, sia che si trattasse di presenza indigena, o successivamente di presenza greca, l’esistenza di abitati con nuclei di famiglie di tipo sparso. Cirò, antica Chone, non faceva eccezione, poiché era appunto suddiviso in frazioni. Nell’area vicina al mare, cioè Krimisa, attuale Comune di Cirò Marina, avviene l’incontro dei primi Greci con la gente non greca, quella che era dislocata, per aggregazioni, verso le alture collinari, e che ha il principale punto di riferimento tra i colli Cozzo Leone, Sant’Elia, Serra Sanguigna, l’odierno Comune di Cirò, zona in cui va collocata l’antica Chone, ricordata dal geografo, storico, filosofo greco, Strabone.

Si era iniziato un processo di ricerca, studio archeologico concentrato sui tre colli del territorio. Sono stati rinvenuti rari e preziosi pezzi dell’antica Chone, attuale Cirò, risalenti al X sec. a. c. fino al III sec. e custoditi nel Museo Archeologico di Cirò, che ha trovato sede in un bene confiscato alla ‘ndrangheta, Museo spesso dimenticato, e che custodisce, tra gli altri reperti, i resti di un guerriero della fine del IV sec. a.c. con tutto il suo corredo funerario. Ma, lasciato all’incuria del tempo e anche dell’attenzione, si è poi optato, anziché sul sapere della propria identità, su altre modalità di promozione, compreso la costituzione di altri musei.

Per dare però una piccola idea di quanto la storia su Cirò/Chone ha da dirci, mi piace riportare quanto racconta Dionigi d’Alicarnasso, autore del trattato Antichità romane, vissuto nel I secolo a.C.: Gli Arcadi, primi tra gli Elleni, attraversato l’Adriatico, si stanziarono in Italia, condotti da Enotro, figlio di Licaone, nato diciassette generazioni prima della guerra di Troia [siamo intorno al 1600 a.C. circa]. Era con lui Peucezio, uno dei suoi fratelli. Li seguivano molti compatrioti e quanti tra gli altri Elleni non disponevano di terra a sufficienza. [ … ] Enotro invece portando con sé la maggioranza della spedizione, giunse all’altro mare, quello che bagna le regioni occidentali dell’Italia. Questo si chiamava Ausonio, dagli Ausoni che abitavano sulle sue rive; ma, dopo che i Tirreni stabilirono la propria egemonia marittima, prese il nome che porta tuttora. E, trovate colà molte terre adatte sia al pascolo che alle colture agricole, ma per la maggior parte deserte e poco popolose, anche quelle che erano abitate, ne liberò alcune parti dagli stranieri e fondò sulle alture piccoli centri abitati, vicini gli uni agli altri, secondo la forma di insediamento consueta tra gli antichi. E la regione occupata, che era vasta, fu chiamata Enotria ed enotrie tutte le genti sulle quali egli regnò.

La composizione geografica di Enotria presto passa nell’area dello Jonio e, alla denominazione etnica degli Enotri, si è talora sovrapposta e sostituita quella dei Chones.

 

La fondazione di Chone è attribuita, da Apollodoro, a Filottete. Viene riportato che Filottete avesse fondato al suo arrivo nella Crotoniatide la punta di Krimisa e la città di Chone e che da questa stessa i Chones avrebbero ricevuto il nome. La tradizione storico-letteraria vuole, altresì che Filottete giunto sulle coste joniche della Calabria, avesse fondato oltre Krimisa e, più in alto, Chone, anche più a sud Petelia e Makalla. Tale descrizione traccia un quadro storico attendibile, sancendo l’esistenza dei territori, distinti, e suggerisce di localizzare Krimisa, attuale Cirò Marina, nell’area di Punta Alice, Chone nella zona dell’attuale Cirò, Petelia in Strongoli e Makalla con le Murgie di Strongoli.

 

Inoltre, vedremo, la definizione Ypsicròn, non è denominazione usata solo da una frazione dell’attuale Cirò.

Ma ritorniamo alle vicende biografiche di Aloisius Lilius che rimangono purtroppo oscure, il manoscritto autografo non è stato mai stampato ed è scomparso senza lasciare traccia. Vi è il Compendium, cioè una sintesi delle sue proposte redatte dal teologo spagnolo Pedro Chacón, componente della Commissione, che fu inviato ai regnanti cattolici in tutta Europa per avere loro parere. Tutt’oggi perdura incertezza sulla figura e sui natali di Aloisius Lilius, e sèguita ad essere una tesi, una quaestio disputanda, l’attribuzione dei suoi  natali.

Interrogativi portano a scavare nel nudo pensiero della storia, con la purezza della filosofia, sollecitati da elementi di ragionevolezza che, esplorando, pongono naturali quaestio atti a confutare le attribuzioni su Lilio. E si pongono all’attenzione quattro quaestio:

Ia QUAESTIO: di Lilio cosa è conosciuto realmente?

Si pone la nascita di Luigi Lilio nel 1510, la data di morte nel 1574.

Ricordo che Papa Gregorio XIII fu nominato pontefice nel 1572, mentre, e solo nel 1575 istituì la Commissione atta a redigere il nuovo calendario.

Domanda: Aloisius Lilio, di ciò che il Papa aveva in animo di fare, riuscì a occuparsene prima ancora del Papa stesso e delle sue intenzioni?, visto che solo nel 1575 il papa istituì la Commissione e Luigi morì l’anno prima? Aveva previsto l’intenzione del Papa e dato mandato al fratello Antonio di proporre il suo studio di riforma del calendario da portare all’attenzione della Commissione?!

Perciocchè, Aloisius Lilius, che, precedendo il papa stesso, aveva redatto progetto, muore prima di consegnarlo, e lascia spazio al fratello, Antonio.

 

Anche di Antonio, però, si hanno scarnissime notizie, permangono mere succinte postille e certamente  prive di un seguito credibile. Nato e morto dove non è dato sapere, non ci sono fonti che diano notizie attendibili sui rapporti tra i due fratelli, sulla famiglia, sull’esercizio professionale. E, ancora, non si conosce il percorso del libro tra Antonio Lilio, i rapporti con i componenti della Commissione e, soprattutto, il suo destino finale.

 

Si riportano micro storie, ma non si conoscono, dei fratelli, i loro percorsi lavorativi, né loro ricerche e relative pubblicazioni. Viene proposta la narrazione per cui d’un tratto l’ambiente ecclesiastico accoglie di Luigi Lilio il suo progetto geniale, attraverso il fratello Antonio, appunto, proposta dirimente l’annosa questione del Calendario, pregnante per i cristiani, importante per la Chiesa. Va da se che l’ideatore di un così importante compito avrebbe dovuto ricevere un minimo riguardo, non sarebbe rimasto come un’ombra nella storia. Di Antonio, poi, viene riportato che riceve compenso a seguito del lavoro svolto nella commissione e, sembra, gli venga attribuito il diritto a pubblicare il calendario che, però, e in poco tempo, viene revocato non essendo capace di far fronte alla richiesta. Ciò appare più una punizione che un riconoscimento.

 

Circa poi il monumento funebre dedicato a Gregorio XIII, al secolo Ugo Boncompagni, che fu opera di Camillo Rusconi, il papa siede sul proprio sarcogafo. Il basamento è opera di Carlo Francesco Mellone che allude alla riforma del Calendario, in cui scolpita nel bassorilievo, ripropone la consegna del Calendario nelle mani di Papa Gregorio XIII. È un monumento celebrativo per Papa Gregorio XIII, suo merito aver operato per dirimere questione calendario. L’identificazione della persona genuflessa nel basamento, da taluni indicata in Antonio Lilio, altri in Cristoforo Clavio, è mera interpretazione, ma sappiamo, inoltre, che ‘attribuire’ nomi rientra nel sistema indotto dell’ inculturazione.

 

IIa QUAESTIO: il luogo di origine da cosa si desume?

  • La tesi che porrebbe Lilius nativo di Cirò è l’aggiunta del termine Hypsichronaeus che fa l’autorevole Clavio al nome Lilius. Ora, posto che l’appellativo Hypsichron, per alcuni storici identifica il clima di un territorio, – lo riporta nel I Tomo Della Calabria Illustrata Giovanni Fiore – da Psycros ‘freddo’, ma potrebbe essere anche da Iskhyròs, forte. E, se non a un luogo circoscritto al clima, leggiamo dalla Treccani il significato: dal gr. ὕψι «in alto», ὑψι- Hypsi, primo elemento di parola composta, «in alto» o in genere elevatezza; e cròno -dal gr. χρόνος «tempo». In tutti i casi occorre capire: quale Hypsichron richiama?!

Tale denominazione, infatti, è condivisa da quattro Cittadine di identica denominazione: la frazione Ypsichron di Cirò (KR); Roccella Jonica (RC) – nel territorio di Roccella è esistita e esiste tuttora una località Psychrò, oggi Zifrò, sita a breve distanza dal monte Kellarana, ne parla in uno studio il Prof. Vincenzo Naymo, che ringrazio per avermene fatto parte; Castelbuono, in provincia di Palermo, nella vallata delle Madonie; la grotta di Psychro, in Grecia, un’antica grotta sacra minoica, situata nel distretto di Lasithi, nella parte orientale di Creta. Essa viene associata alla grotta Dittea, quella che si dice essere stata il luogo di nascita di Zeus, padre di tutti gli dèi antichi. Secondo Esiodo, Rea diede alla luce Zeus in una grotta del monte Egeo. Dalla fine del XIX secolo, la grotta che sovrasta l’attuale villaggio di Psychro è stata identificata con il luogo di nascita di Zeus.

 

Inoltre, ed è dato molto importante per più questioni, la denominazione “Cirò” era già riscontrabile, appellativo conosciuto anche dallo stesso Papa Gregorio XIII, e in uso nel 1579, mentre il Calendario viene promulgato nel 1582, dunque successivamente.

Ne riporta in un articolo Andrea Pesavento: secondo una nota al “Regesto” di Francesco Russo, il Convento dei Minimi di S. Francesco da Paola, in Cirò, fu fondato dal principe D. Giuseppe Spinelli e aperto dal provinciale P. Domenico da Paola. Il Convento fu fondato tra il 1579 ed il 1581 su intervento del feudatario di Cirò, Giuseppe Spinelli e il vescovo del tempo, o Vincenzo Ferreri (1578-1579) o Emiliano Bombini (1579-1592), concesse la chiesa dell’Annunziata, situata fuori le mura, previo il versamento annuo alla mensa vescovile di tre libbre di cera. La chiesa dell’Annunziata di Cirò era situata fuori mura, sulla via che congiungeva l’abitato alla via costiera. Essa era all’origine una cappella rurale, che si amministrava come un semplice beneficio e si alimentava di piccole elemosine e lasciti. “De anno 1579 ecclesia Sanctiss.ae Annunciationis sita extra muros in terra Cirò, cum de ea provisus existeret tanquam de Cappellania, et Rectoria beneficio seculari Praesbiter Thomas de Pace, per ordinarium loci fuit concessa sine consensu sedis Apostolicae coenobitis minimorum S. Francisci de Paula sub annua responsione trium librarum cerae pro concessione loci, non obstante protestatione tunc temporis possidentis in preiudicium sedis Apostolicae, et ordinariorum, quoad futuram collationem”. Così si esprimeva il vescovo di Umbriatico Alessandro Filaretto Lucullo nella sua relazione del 1600. (SCC. Rel. Lim., Umbriaticen. 1600, f. 125). Papa Gregorio XIII con breve del 28 agosto 1584, confermava l’erezione del Convento: “Ad perpetuam rei memoriam. Confirmatur erectio conventus Fratrum Minim. S. Frac. De Paula in terrà Cirò, Umbriaticen. Dioc.”.

 

Come è evidente la definizione di terra di Cirò era già nota nel 1579, confermato anche dal breve di Papa Gregorio XIII del 1584, ed è nel 1603 che Clavio cita Lilio con l’aggiunta del termine Hypsichronaeus.

Scrive, inoltre, Giovan Francesco Pugliese, nel suo testo, Descrizione ed istorica narrazione dell’origine, e vicende politico-economiche di Cirò: Ypsicron, significante Alti-sedens supremus, al che si aggiunge omnibus ventis ex-positus; e gli altri di cui si conservano appena i nomi, e di tempo in tempo se ne scuoprono i rottami, erano: Maddalena sotto la Pagliarella ed Attiva: S. Stefano sul Cozzo dell’arenacchio con chiesetta dedicata a S. Elia: S. Maria del Casale, ove ora è S. Maria delle Grazie, con chiesa a S. Sofia. Altro Maddalena e Fringiti nelle montagne. Ypsicron che era il più antico e grosso villaggio dominava in certo modo gli altri. È osservabile che mentre ne’ pubblici registri, e negli atti notarili si è sempre denominato Ypsicron e Psigrò; nelle scritture ecclesiastiche, e specialmente negli ordinarj che ogni anno si son pubblicati da’ vescovi, sia per amore del Vetusto, sia per non confonderlo coll’attuale Paterno, ed evitare equivoci, andò questo nome obliato, e si usò in vece quello di Civitas Chrimissa. Ma, ecco l’errore: Paterno è Krimisa, non Chone.

 

Potremmo dunque chiederci a quale dei quattro Comuni si riferisce, e perché, se il riferimento era attribuito a Cirò, si volle ripescare atavico richiamo eludendo il dato conosciuto, in uso, non menzionandolo, come mai si volle usare terminologia superata, Hypsichron, a cospetto di un ‘tempo latino’ in vigore?

Qualche dubbio sorge altresì, allorquando Giovan Francesco Pugliese, riporta la lettera che Gian Teseo Casopero, avrebbe scritto ad Alvise (Lilio), lo chiama Alvise Baldassare, lettera che viene puntualmente riproposta, come la narrazione della storia che lo stesso Pugliese enuncia con sue conclusioni, non supportate da alcun riscontro, fatto salvo l’amor patrio che, però, spesso dà visione di parte della storia. Pugliese nel sostenere la tesi che attribuisce i natali di Lilio a Cirò, scrive che Casopero, poeta latino, nativo di Cirò, la cui famiglia era originaria di Lecce, fosse suo precettore.

Appare logico domandarsi: come è possibile che Lilio abbia ricevuto una solida educazione umanistica da Casopero se i due erano coetanei? Casopero nasce nel 1509 e Lilio fatto nascere nel 1510, di Casopero poi, dopo il 1537, non si sa più nulla.

Pugliese scrive altresì (op. cit. , p. 225): “Venne a notizia di Papa Gregorio XIII il quale lo invitò a Roma, come Giulio Cesare aveva dall’Egitto chiamato Sosigene per rettificare il calendario di Numa. Egli vi andò di buon animo e seco condusse il minor fratello Antonio, coll’ajuto del quale distese non solo la dimostrazione dell’errore, ma la proposta ragionata sul metodo della riforma, consistente in togliere dieci giorni da quell’ottobre 1582”.

Affascinante il racconto, ma fa emergere mera retorica atta a replicarne tesi che si è succeduta negli anni, e che, abbiamo visto di chiara incongruenza: non trova corrispettivo documentabile.

Ergo: lacune biografiche e bibliografiche emergono. Non rientra nel rigore scientifico l’archetipo delle ‘congetture’ monadi.

 

IIIa QUAESTIO: circa il cognome – siamo nel 1510 – qual’era l’uso del tempo per l’identità degli individui?

  • Riguardo il tempo in cui divenne ordinario l’uso del cognome, il periodo fa riferimento alle conseguenze dell’applicazione dei decreti del Concilio di Trento, nel 1564, che obbligarono i parroci a tenere regolari registri di battesimo e matrimonio, obbligo cui si aggiunse mezzo secolo più tardi, nel 1614, quello di registrare i decessi e gli stati delle anime. È noto che nell’alto medioevo vigeva un sistema onomastico basato sul nome unico: ogni individuo aveva un solo nome, latino o germanico che fosse. Quando per specifiche circostanze si voleva definire con maggior precisione un individuo, si ricorreva ad alcuni elementi accessori: in primo luogo la filiazione, nella forma Albertus filius [quondam] Guidi, o un altro rapporto di parentela, Albertus frater Ildibrandi, Guilla uxor Alberti. In secondo luogo, erano impiegati dei riferimenti toponimici, Albertus de loco Arsago [o de civitate Florentia]. Di uso occasionale erano altri elementi: i titoli, connessi o meno all’esercizio di cariche pubbliche (comes, vir magnificus, gastaldus, vassus); le dichiarazioni di status o di nazionalità (clericus, servus, alamannus); i nomi di mestiere (negotians, aurifex, magister, massarius).

Tali elementi, e in particolare i primi due (patronimico e toponimico), non facevano parte del nome vero e proprio dell’individuo evocato. Patronimico e toponimico erano elementi accessori che definivano più precisamente l’identità degli individui, per evitare equivoci.

Se Luigi Lilio nasce nel 1510, quando non era ordinario l’uso del cognome, divenuto tale dal 1564, conseguente all’applicazione dei decreti del Concilio di Trento, come fa ad averne uno, si può definire cognome e, se si, da dove viene il suo? È patronimico? Toponimico? Un ‘titolato’ non si sarebbe certo asservito alle dipendenze economiche dei Carafa per poter studiare, come viene sostenuto. Si fanno sempre più ampi gli spazi per ricercare verità.

IVa QUAESTIO: cosa caratterizza l’ingegnosità di Luigi Lilio?

  • In genere la genialità, originalità acuta dell’essere umano, si esprime nella creatività, nelle competenze, nel carisma e stile inconfutabile, in pubblicazioni, ideazioni concrete, rinvenibili, opere che segnano i tempi, trascorsi accademici da testimoniare, tracciabili senza caducità. Di Aloysius Lilius, nulla è certificato, né nascita, nè morte, come anche di Antonio Lilio. E permane interessante però capire cosa Aloysius avrebbe elaborato prima della riforma del Calendario Gregoriano, o meglio capire se la sua genialità era stata riscontrata in e per cosa da assurgere alla corte del Card. Sirleto.

Lilio, come monade, si auto propose ancora prima che il Papa decidesse di istituire una commissione? Potrebbe essere questa una genialità. Ma, attualmente non ci sono documenti che diano  contributi di conoscenza sui suoi meriti, se non l’attribuzione e riconoscimento di Clavio, che lo cita con gratitudine, come autore riformatore del calendario. Punto.

L’inesplorato manoscritto di Lilius, che contiene gli elementi per la riforma del calendario è tutt’ora un mistero non risolto. Non ci sono tracce di suoi insegnamenti, di vita vissuta, non ha pubblicato in antecedenza libri sulle sue teorie.

Ergo: lacune serie permangono, e se Clavio non lo avesse citato, forti dubbi sulla sua reale esitenza sarebbero sorti. Incuriosisce l’enigma che, parafrasando Manzoni, non che questo matrimonio non s’ha da fare, ma ha da esser ancora confutato. Infatti, scarni sono i documenti per attestare attendibilità al punto da attribuire i natali a Lilio, oltre le presunzioni enfatiche, e a volte anche eccessivamente di parte. Quello che si racconta di più è frutto di pura fantasiosa attribuzione, e non di storia che è tale quando si avvale di supporti documentali che escludano confutazioni. Quando la storia non è il nostro punto fermo, è facile che le fantasie si affollino e disorientino il lettore. Ma uno storico sa bene che da scarsi elementi non si possono mai ottenere conferme, ma mere congetture. Deve piuttosto unire informazioni, laddove ce ne fossero, contestualizzarle, e non fare loro dire ciò che si interpreta. Si creerebbero chimere, miraggi atti all’inculturazione, principale fattore dannoso per la cultura e i territori. Per cui, e mi concedo un pò di ironia: anche io posso essere innamorata di Ulisse ma questo non fa di me Penelope!

Elementi di ragionevolezza, dunque, sollecitano ad approfondire realmente le questioni supposte. Ad oggi rimane una tesi l’attribuzione dei natali di Aloisius Lilius, una mera quaestio disputanda da dirimere.

Ne consegue che, con alcuna ambizione esaustiva, piuttosto di incoraggiamento ad approfondire tema al fine di superare le evidenti lacune, evidenziate nelle quaestio su poste, si avverte opportuna la necessità di oltrepassare le attuali “verità relative” su Lilio.

immagine a corredo: BCS

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Nota bibliografica:

– CARNEA Maria Francesca, NUDITÀ DELL’ESSERE, Sociologia, Spiritualità, Comunicazione filosofica della politica, Ed. IlTestoEditor, 2018.

–  CARNEA Maria Francesca, San Nicodemo da Sikròs. Monaco eremita del Kellarana, Ed. IlTestoEditor, 2021.

– FIORE da Cropani Giovanni Francesco, Della Calabria Illustrata, a cura di Ulderico Nisticò, I Tomo, Rubbettino, 1999, p. 477.

– MEDAGLIA Salvatore, Carta archeologica della provincia di Crotone Paesaggi storici e insediamenti nella Calabria centro-orientale dalla Preistoria all’Altomedioevo, in RICERCHE, Collana del Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti, IV, Università della Calabria, (CS), 2010.

– MEZZI Egidio, Cirò dotta, figli illustri di Cirò e Cirò Marina, Belvedee Spinelli, 1992

– NAYMO Vincenzo, Per la localizzazione del villaggio natale di San Nicodemo del Kellarana, in Rivista Storica Calabrese, Anno XL, nn. 1-2, pp. 221-228.

– PESAVENTO Andrea, Il monastero dell’ordine di San Francesco di Paola della SS. Annunziata di Cirò, in archiviostoricocrotone.it

– PUGLIESE Giovan Francesco, Descrizione ed istorica narrazione dell’origine, e vicende politico-economiche di Cirò, Napoli, 1849, Vol. I.

– CARNEA Maria Francesca, Luigi Lilio, un italico matematico mistero, il Calendario Gregoriano e Cirò, antica Chone (KR), https://youtu.be/5NszOp7b6Cs

 

MARIA FRANCESCA CARNEA, filosofa, consulente strategie di comunicazione, già docente invitato presso il Pontificio Ateneo S. Anselmo, Roma, in Comunicazione e spiritualità; Sociologia e spiritualità della comunicazione politica. Autrice di  pubblicazioni a carattere storico, filosofico, socio-politico.

 

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