Le foto che mostrano Ilaria Salis legata mani e piedi, tenuta per una catena e sorvegliata su una panca da due agenti di un corpo speciale di polizia penitenziaria che indossano il giubbotto antiproiettile e il passamontagna per non essere riconosciuti, hanno destato molto scalpore. Al di là delle implicazioni politiche e diplomatiche della vicenda, stupisce che questo scalpore non venga sollevato durante i processi nostrani in cui le catene per il trasporto dei detenuti sono rivestite da una guaina in gomma. In Ungheria la catena si vede, in Italia no. Anche in Italia la traduzione di detenuti non pericolosi viene effettuata con modalità simili, e la partecipazione al processo è spesso organizzata con la collocazione provvisoria nelle gabbie, anche quando i detenuti non provengono dal regime di alta sicurezza. Eppure quei gabbiotti contrastano con l’art. 3 Cedu, che vieta i trattamenti umani degradanti (sentenza Valyuzhenich contro Russia, del 26/03/2019). La Salis è stata legata anche ai piedi per impedirne la fuga durante il processo e non ve n’era alcuna obiettiva necessità per sottoporla ad un trattamento cosi umiliante. Ma chiediamoci anche quale bisogno ci sia di usare i gabbiotti in condizioni processuali di normalità, qui in Italia. I detenuti, peraltro, sono spesso costretti ad attendere l’udienza in manette, dentro una cella adiacente all’aula. Questa pratica, che viene giustificata con la necessità di garantire la sicurezza degli imputati e degli operatori di giustizia, può avere un impatto negativo sulla dignità e sui diritti degli imputati. Spesso poi gli imputati vengono trasferiti da un luogo all’altro del tribunale in manette. Anche in questo caso, la giustificazione formale è quella di garantire la sicurezza, ma qualsiasi avvocato che vive quotidianamente l’aula può esprimere forti riserve rispetto alla reale esigenza di ricorrere a questo strumento. Io personalmente non ho memoria di tentativi di fuga attuati prima o nel corso delle udienze. È necessaria una riflessione sul trattamento degli imputati in attesa dell’udienza o nel corso della stessa, anche in Italia. È importante trovare un equilibrio tra la necessità di garantire la sicurezza e il rispetto dei diritti di questi soggetti, valutando caso per caso l’opportunità di trasferire gli imputati in manette e di trattenerli nelle gabbie. È urgente, sia in Italia che in Europa, un’azione decisa per contrastare la pratica della collocazione automatica degli imputati in gabbie, box o simili. È altrettanto opportuno modificare le modalità con cui gli imputati attendono di comparire davanti al giudice o vengono trasferiti da un luogo all’altro del tribunale. È necessario seguire la strada indicata dalla normativa europea e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, garantendo maggiormente la dignità della persona sottoposta a procedimento penale, il diritto a un processo equo e la presunzione di innocenza.
Aldo Truncè