La Cgt di secondo grado della Calabria, con la sentenza n. 128 dello scorso 12 gennaio 2024, ha ribadito che l’equità “sostitutiva” costituisce una deroga eccezionale al principio di legalità, che deve essere autorizzata da un’espressa disposizione di legge. Tale tipologia di equità si distingue da quella “integrativa”, che si verifica, invece, quando è il legislatore che rimette, alla valutazione equitativa del giudicante, la determinazione di un elemento del rapporto controverso.
Al centro della disputa vi era un avviso di accertamento “bancario”, riguardante Irpef, Irap e Iva per un determinato anno di imposta, emesso da un ufficio calabrese dell’Agenzia delle entrate.
Il contribuente proponeva ricorso contro l’atto impositivo davanti alla Ctp di Crotone, la quale, pur rilevando che le prospettazioni del ricorrente non fossero idonee a superare la presunzione di cui all’articolo 32 del Dpr n. 600/1973, aveva, tuttavia, ritenuto eccessivo il reddito accertato e aveva disposto la riduzione dello stesso del 40 per cento.
A questo punto, l’ufficio ricorreva, lamentando l’erroneità della descritta pronuncia, laddove il primo giudice avrebbe deciso secondo equità, atteso che la riduzione del reddito accertato non trovava, neanche nella parte motiva, alcuna giustificazione, ma discendesse esclusivamente da una valutazione forfettaria.
La decisione
Nell’accogliere il ricorso erariale, la Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Calabria espone di concordare con l’orientamento già espresso dallo stesso Collegio, conforme ai principi di diritto formulati dalla Corte di cassazione (cfr pronuncia n. 10875/2022), secondo cui, nel giudizio tributario, non è ammissibile il ricorso all’equità “sostitutiva”.
L’equità, infatti, costituisce una deroga eccezionale al principio di legalità della decisione giudiziaria, sicché presuppone sempre un’espressa previsione legislativa che la autorizzi; in questi casi si verifica una vera e propria sostituzione del giudizio di stretta legalità.
In dette ipotesi si fa riferimento, prosegue il Collegio calabrese, all’equità “sostitutiva”, per distinguerla da quella “integrativa” (o “correttiva”), che si verifica quando il giudice applica pur sempre una norma di legge, ma quest’ultima presenta una fattispecie interpretativa incompleta, sicché il legislatore rimette alla valutazione equitativa del giudice la determinazione di un elemento del rapporto controverso.
Il giudice tributario non è dotato di poteri di equità sostitutiva, dovendo fondare la propria decisione su giudizi estimativi, di cui deve dar conto in motivazione in rapporto al materiale istruttorio.
Ciò premesso, la Corte osserva, in relazione al caso in esame, che il giudice di primo grado stesso aveva riconosciuto che il contribuente non avesse formulato adeguati parametri di quantificazione del reddito e, per tale ragione, aveva adottato una soluzione in via equitativa.
Tuttavia – conclude il Collegio di secondo grado – il contribuente non aveva adeguatamente assolto all’onere probatorio, posto a suo carico, di dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non fossero riferibili a operazioni imponibili, di modo che l’operato dell’Amministrazione appariva del tutto corretto e conforme alla normativa di settore.
Osservazioni
La sentenza in questione applica il consolidato orientamento di legittimità, che la Corte di cassazione ha avuto occasione di chiarire in un’ordinanza depositata alcuni giorni fa (cfr Cassazione, ordinanza n. 1707/2024).
Nel richiamato deliberato, il giudice di legittimità ha ribadito, infatti, che “ciò che è precluso al giudice tributario è il fare uso di poteri di equità sostitutiva, dovendo fondare la propria decisione su giudizi estimativi, di cui deve dar conto in motivazione in rapporto al materiale istruttorio (Cass., Sez. V, 18 maggio 2023, n. 13726; Cass., Sez. V, 25 giugno 2019, n. 16960), dovendo il giudice dare conto delle risultanze del materiale istruttorio (Cass., Sez. V, 5 aprile 2022, n. 10875; Cass., Sez. VI, 23 marzo 2018, n. 7354)”.
Il giudice, in sostanza, può ridurre forfettariamente gli importi accertati soltanto se ha compiuto un giudizio estimativo, “vuoi perché ha ritenuto parzialmente sfornita di prova la pretesa impositiva, vuoi perché ha accolto in parte le prove offerte dal contribuente”: in pratica, deve dirimere le controversie solamente basandosi sulle norme di legge e sul materiale probatorio offerto dalle parti in causa.
In definitiva, se il giudice tributario decidesse secondo equità (come – ad esempio – è consentito dalla legge al giudice di pace, nel caso di controversie di valore inferiore a 2.500 euro, ex articolo 113, comma 2, cpc), ne risulterebbe violato il cardine costituzionale dell’articolo 23, secondo cui le prestazioni personali e patrimoniali possono essere imposte solo “in base alla legge”.