Come Odisseo che torna alla sua Itaca dopo un lungo peregrinare, anche il viaggio dell’autore Riccardo Infante nel suo libro “Sotto la coperta d’oro” (Edizioni Ensemble) è l’esperienza di un esule che ha conosciuto paesi, mari e patrie differenti, portando con sé le proprie origini. Ma è anche il percorso interiore di un uomo alla ricerca della propria identità: quel luogo, fuori del tempo e dello spazio, dove sentirsi sé stessi e finalmente a casa.
Riccardo Infante è nato in Italia da famiglia mista italo-canadese, e ha trascorso l’infanzia e l’adolescenza in Medioriente, soprattutto in Iran, a Teheran, che considerava la sua città. Poi, con la rivoluzione islamica, Riccardo è stato costretto a fuggire, ed è giunto in Italia, a Milano, dove ha messo nuove radici. Ma non è stato facile: «Feci fatica a integrarmi nella realtà italiana – afferma l’autore. Dovetti ripartire quasi da zero, ambientarmi, ricostruirmi una vita di relazioni, fare i conti con mentalità, abitudini ed esperienze diverse dalle mie. Mi sentii, come in parte mi sento ancora, a volte: un esule, un senza patria, se non un escluso o un reietto».
“Sotto la coperta d’oro” racconta, attraverso il tema del viaggio, – riprendendo metaforicamente il viaggio di Ulisse ma anche di Dante – la sua esperienza di esule sradicato dalle proprie radici, connessa con la storia di tanti migranti del nostro tempo. Il libro, dunque, vuole mettere in relazione, su più livelli, l’antica quanto attualissima vicenda della nostra umanità: la ricerca del proprio destino.
Riccardo, il suo “Sotto la coperta d’oro” è un libro di poesia che in realtà narra un’unica storia: può spiegare meglio in cosa consiste questo poema in versi, che ha la struttura di un’opera teatrale (la divisione in cinque atti, un narratore, un coro)?
«Il libro nasce come poema unitario, organizzato essenzialmente intorno a un’idea, che è anche un’esperienza vissuta in prima persona. Il tema fondamentale che volevo trattare è quello del viaggio – irto di difficoltà e sofferenze – di tutti quelli che, per le più diverse ragioni, sono costretti a lasciare i propri paesi e le proprie origini, per cercare rifugio e una vita migliore nei paesi dell’Occidente “ricco”, sviluppato e tollerante. Spesso questi migranti per costrizione, questi esuli e fuggiaschi, non trovano quanto speravano, ma solo nuove forme di esclusione, disorientamento e miseria. La loro storia, e la mia, vengono messe in connessione con quella di Odisseo (un Odisseo un po’ omerico e un po’ dantesco) che, lasciata l’Asia dopo la distruzione di Troia, prende il mare e, attraverso mille vicissitudini e disavventure, torna alla sua Itaca per ricongiungersi con i suoi cari. Ma è davvero quella l’Itaca che voleva? Inoltre, il tema del viaggio rappresenta nella mia vita anche una navigazione metaforica, di un difficile e doloroso percorso di caduta e rinascita, di smarrimento e ritorno alla vita vissuti intorno ai quarant’anni. Il viaggio è, dunque, un cammino di ricostruzione dell’anima attraverso la conoscenza. Rappresenta il compimento del proprio destino. Ho scritto questo poema immaginandolo come uno spettacolo teatrale, con un protagonista che narra e un coro che descrive determinati passaggi della vicenda. Lo spettatore/lettore viene così a calarsi gradualmente, atto dopo atto, nell’interiorità del personaggio principale, e a scoprire le molteplici stratificazioni di senso incarnate da questo moderno Odisseo-migrante, nel quale può riconoscersi».
A cosa si riferisce il titolo “Sotto la coperta d’oro”? E cosa simboleggia quella nave in copertina, più somigliante a un relitto?
«La coperta d’oro del titolo rimanda da un lato, in modo diretto e concreto, ai tessuti termici con cui vengono avvolti i migranti scampati agli innumerevoli naufragi nel Mediterraneo o altrove; o con cui a volte vengono coperti i loro miseri resti. Dall’altro lato, la coperta d’oro ha un senso evocativo: rappresenta la sostanza preziosa dei sogni e della magia, l’immaginario di una favolosa terra promessa. La tragedia e la speranza in un solo lembo di tessuto. Il vascello fantasma che appare in copertina, invece, è la nave mille volte naufragata di Ulisse, ma anche lo scafo malridotto con cui tanti migranti sfidano il mare nella speranza di raggiungere una nuova terra; e così rappresenta anche la barca di Caronte che traghetta le anime morte verso i loro gironi infernali. Eppure quel relitto ancora galleggia, e ancora invita l’eroe a partire, perché credere nella possibilità di nuove scoperte e nuove avventure è tutt’uno con l’essere vivi».
Ci sono delle scelte particolari che caratterizzano il suo libro dal punto di vista metrico e formale?
«Alla base delle opzioni stilistiche di Sotto la coperta d’oro c’era il mio intento di mettere alla prova diverse risorse formali (canoniche e non) della tradizione poetica italiana, per verificarne, per così dire, la “tenuta” nei vari contesti lirici, emotivi e drammaturgici. Per il lessico e la strutturazione sintattica ho preferito in genere soluzioni piane e lineari, anche se solo di rado prosastiche. Volevo che la lettura risultasse scorrevole e chiara. Poeti di riferimento sotto questo profilo potrebbero essere Franco Buffoni o Enrico Testa, per fare due nomi. C’è un certo ricorso alla terminologia tecnica (nautica, ad esempio), ma senza voler appesantire il dettato narrativo. Le metafore e le metonimie sono prevalentemente controllate e trasparenti. Metricamente i versi sono derivati dalle forme più canoniche della lirica: l’endecasillabo e il settenario regolari, anche se talvolta spezzati, interrotti da a capo per dare risalto a determinate sfumature semantiche e ritmiche».
ll libro è un viaggio che ripercorre l’Odissea di Ulisse, ma è anche un viaggio nella nostra storia contemporanea e nella storia personale del protagonista: cosa c’è in comune tra lei, Ulisse e i migranti della nostra epoca?
«La globalizzazione ha trasformato tutti noi di fatto in solitari cittadini del mondo, in spatriati in costante movimento. Ha distrutto o sta distruggendo il senso di comunità e di appartenenza, di radicamento culturale, ogni forma di coerente impegno professionale e affettivo. Tutto questo ha la sua concretizzazione più dolente ed emblematica nella figura del migrante che da mondi lontanissimi approda nelle metropoli moderne, con il suo carico di indigenza e nostalgia, con i suoi retaggi culturali e i suoi costumi tradizionali, e si trova improvvisamente a mescolarsi con tutti gli altri (una “folla solitaria” di individui isolati e sradicati), nel crogiuolo di diversità inconciliabili e stridenti. In questo libro, mi sforzo di calarmi nei loro panni e di immedesimarmi con loro, facendo leva sull’esperienza personale di “spatriato”. L’individuo isolato della società disgregata e globalizzata è costantemente in viaggio come Ulisse, sempre alla ricerca di una Itaca che in fondo non esiste. Ogni Ulisse di oggi sente e sa che la meta è sempre oltre, e nulla può più essere fisso e definitivo. Ogni nostro contemporaneo sa che nessuna definizione di sé e del mondo può essere conclusiva e immutabile, perché il nostro viaggio non finisce mai, siamo in costante cammino».
Quali sono gli autori e i fatti storici a cui si è ispirato per scrivere questo libro così potente e colto?
«Sicuramente Dante con la sua rielaborazione della figura di Ulisse, Tennyson che in parte si riallaccia a quest’ultimo, e Kavafis con la sua “Itaca”. Un’altra evidente fonte di ispirazione è sicuramente “La terra desolata” di Eliot, che in “Morte per acqua” ci presenta il personaggio del fenicio Fleba e altre considerazioni sulla società capitalista moderna e sulla morte. Dal punto di vista storico la riflessione di “Sotto la coperta d’oro” è però costituito soprattutto dal mondo globalizzato che non ha saputo né cancellare né ridurre le disuguaglianze economiche e sociali, costringendo folle immense ad affrontare peregrinazioni epiche e disperate in cerca di scampo. L’aspetto positivo è la crescente apertura delle diverse culture e mentalità, la maggiore consapevolezza della perfettibilità delle conoscenze, il progresso del sapere in ogni campo».
Qual è la sua Itaca? Qual è il posto in cui si sente a casa?
«La vera Itaca può essere per ciascuno un posto dai contorni differenti, e può trovarsi geograficamente dappertutto, perché comunque non è un ambiente in senso materiale – o quanto meno non solo. Itaca è ovunque si possa essere sé stessi, ovunque ci si possa esprimere liberamente e dove si viene riconosciuti, apprezzati e amati per quello che siamo».
Titolo: “Sotto la coperta d’oro”
Autore: Riccardo Infante
Editore: Ensemble
Anno edizione: 2024
Pagine: 72:
EAN: 9791255710653
Prezzo: 13 Euro
“Sotto la coperta d’oro” (Edizioni Ensemble) di Riccardo Infante è disponibile sul sito della casa editrice, su internet o preordinandolo in tutte le librerie.