Medici Asl, spese di accesso: il fisco conferma l’imponibilità delle somme

Roma- Con la sentenza n. 12075 del 6 maggio 2024, la Corte di cassazione torna ad affrontare il tema della tassabilità di quei particolari emolumenti, le “spese di accesso”, che vengono corrisposti ai medici convenzionati in funzione degli spostamenti che i professionisti compiono dal comune di residenza al luogo di lavoro. I giudici di legittimità, confermando un orientamento ormai consolidato, affermano che il rimborso di tali spese, previsto dall’articolo 35 del Dpr n. 271/2000, deve essere ricompreso tra “le somme a qualunque titolo percepite” in relazione al rapporto di lavoro dipendente, soggette a imposizione fiscale, essendo ontologicamente diverse dalle “indennità percepite per le trasferte” (articolo 51, comma 5, Tuir). Esse consistono in spostamenti temporanei – intervenuti su richiesta e nell’interesse del datore di lavoro – dal luogo in cui la prestazione lavorativa viene ordinariamente effettuata a quello richiesto dal datore, necessariamente individuato in comune diverso.

Il caso controverso
La controversia in commento origina dal diniego opposto dall’Agenzia a una istanza di rimborso formulata da un medico, specialista ambulatoriale convenzionato con il Servizio sanitario nazionale presso un’Asl di Roma, con cui lo stesso chiedeva il rimborso delle ritenute operate ai fini Irpef dal sostituto d’imposta e trattenute sulle somme percepite per l’anno 2016.

L’istanza veniva motivata in considerazione della natura risarcitoria e non retributiva degli emolumenti in questione, che erano stati corrisposti a titolo di rimborso di spese di viaggio, relative ad attività professionale svolta presso gli ambulatori di Anzio e Nettuno, esterni al comune di residenza del medico convenzionato.

Intervenuto il diniego dell’ufficio, il medico istante proponeva ricorso dinanzi ai giudici tributari di primo grado di Roma, che lo accoglievano. La Commissione tributaria regionale del Lazio rigettava l’appello dell’Amministrazione finanziaria, confermando la decisione di primo grado. I giudici d’appello ritenevano che la modalità di liquidazione forfettaria dei rimborsi, ancorata a parametri oggettivi collegati agli spostamenti, non facesse venir meno la natura risarcitoria – e non reddituale – degli emolumenti in esame, i quali non costituivano, pertanto, reddito imponibile.

Avverso la sentenza di secondo grado del giudizio, l’ufficio proponeva ricorso per cassazione invocando la violazione e falsa applicazione del combinato disposto dei commi 1, 2, lettera d) e 5 dell’articolo 51 del Dpr n. 917/1986, in quanto la Ctr avrebbe dovuto affermare che le somme corrisposte ai medici specialisti ambulatoriali a titolo di rimborso delle spese di viaggio hanno natura retributiva e non risarcitoria e, per l’effetto, che sono assoggettabili a ritenuta Irpef, con conseguente inesistenza del diritto del contribuente a ottenere il rimborso delle ritenute.

La decisione della suprema Corte
Con la sentenza in commento, i giudici della Cassazione ritengono che nel caso di specie si verta in tema di indennità corrisposte al medico per svolgere attività di ambulatorio al di fuori del proprio comune di residenza, fattispecie differente da quella della trasferta comandata al di fuori del comune della sede di lavoro; pertanto, i giudici ritengono che debba darsi continuità all’orientamento recentemente espresso dalla suprema Corte (cfr Cassazione, pronunce nn. 2124, 2126 e, 2184, tutte del 2024), secondo cui il rimborso delle spese di accesso è ontologicamente diverso dalle “indennità percepite per le trasferte”, le quali consistono in spostamenti temporanei del luogo di esecuzione della prestazione lavorativa in comune diverso da quello ove essa è ordinariamente effettuata, spostamenti intervenuti su richiesta e nell’interesse del datore di lavoro. Ne discende che il principio di onnicomprensività, previsto dall’articolo 51, comma 1, del Tuir comporta che tale voce, non essendo riconducibile alla previsione contenuta nel comma 5 dello stesso articolo 51, debba essere ricompresa tra “le somme a qualunque titolo percepite” in relazione al rapporto di lavoro dipendente e, pertanto, soggetta a imposizione fiscale.

Osservazioni
Con la sentenza in esame, i giudici di legittimità tornano sul dibattuto tema della imponibilità delle somme, definite “spese di accesso”, che vengono corrisposte ai medici convenzionati, in funzione degli spostamenti che il lavoratore compie dal comune di residenza alla sede di lavoro collocata fuori dal comune di residenza.

I giudici hanno confermato che il rimborso delle spese di accesso, previsto dall’articolo 35 del Dpr n. 271/2000, il quale prevede la corresponsione di un rimborso delle spese di accesso, rimborso determinato con il criterio forfettario della indennità chilometrica, è ontologicamente diverso dalle “indennità percepite per le trasferte” di cui all’articolo 51, comma 5, del Tuir.

I giudici di legittimità, nella pronuncia in commento, tengono ben distinte tali spese da quelle dei “trasfertisti occasionali”.

E infatti, la suprema Corte, con pronunce recenti (cfr Cassazione nn. 8489/2020, 6816/2023 e 15731/2023), ha individuato la natura non reddituale degli emolumenti, ritenuti non costituenti reddito imponibile, purché percepiti a titolo di rimborso spese: in particolare è stato affermato che “il rimborso delle spese di trasferta ex art. 51, comma 5, d.P.R. n. 917 del 1986, può essere analitico, se ancorato agli esborsi, per vitto, alloggio e viaggio, effettivamente sostenuti e adeguatamente documentati dal dipendente, ovvero forfettario, se operato attraverso il riconoscimento di una provvista di denaro per sostenere le spese di vitto e alloggio, con la conseguenza che, mentre nel primo caso il rimborso non determina alcuna tassazione in capo al dipendente, nel secondo l’importo che oltrepassi il limite massimo previsto dall’art. 51 cit. concorre alla formazione del reddito di lavoro“.

Con differenti decisioni la Corte di cassazione si è pronunciata in merito alla effettiva natura di tali indennità, precisando che le somme corrisposte per spese di viaggio effettivamente sostenute per lo svolgimento dell’incarico di medico specialista presso gli ambulatori esterni al comune di residenza vengono percepite a titolo di rimborso spese, sicché hanno funzione restitutoria e di ripristino del patrimonio del prestatore d’opera e non sono assimilabili alla retribuzione, né assoggettabili a imposta (articoli 48 del Dpr n. 597/1973, e 48 del Tuir), poiché la loro quantificazione è determinata non con criterio forfettario, ossia sganciata dall’effettivo esborso sostenuto dal prestatore d’opera, ma con specifica parametrazione al chilometraggio percorso e al costo del carburante rilevato (cfr Cassazione nn. 6793/2015 e 30624/2021).

Tali precedenti giurisprudenziali risultano peraltro tutti calibrati sulla previsione di cui al citato comma 5 dell’articolo 51 del Tuir, che riguarda i “trasfertisti occasionali” e prevede la non imponibilità, in tutto o in parte, delle “indennità percepite per le trasferte o le missioni fuori del territorio comunale.

In conclusione, si può affermare che sembra consolidarsi una impostazione giurisprudenziale che tende a riconoscere la massima vis espansiva al principio di onnicomprensività previsto dall’articolo 51, comma 1, del Tuir, per cui tutte “le somme a qualunque titolo percepite” in relazione al rapporto di lavoro dipendente sono soggette a imposizione fiscale, a meno che non rientrino in deroga espressamente prevista dal legislatore. Nel caso in esame, le somme sono state corrisposte ai medici a titolo di rimborso delle spese per “l’accesso” agli ambulatori fuori dal comune di residenza: esse devono essere assoggettate a imposizione poiché percepite in relazione al rapporto di lavoro dipendente e non conducibili alla deroga prevista per le spese di trasferta.

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