BRUXELLES – La Corte di giustizia, con la sentenza del 13 giugno 2024, resa nella causa C-696/2022, ha chiarito che l’articolo 168, lettera a), della direttiva Iva deve essere interpretato nel senso che, al fine di accertare l’esistenza di un nesso diretto e immediato tra, da un lato, una specifica operazione a monte e, dall’altro, operazioni a valle che danno diritto a detrazione, occorre determinare il contenuto oggettivo di tali operazioni, il che implica che siano prese in considerazione tutte le circostanze in cui queste si sono svolte.
Una società rumena nella quale operano amministratori e liquidatori giudiziari fornisce servizi, soggetti ad Iva, alle imprese sottoposte a procedure d’insolvenza. Con avviso di accertamento, parzialmente confermato da una decisione successiva, adottata a seguito di un reclamo presentato dalla società, l’amministrazione tributaria rumena constatava irregolarità, in particolare per quanto riguarda l’esigibilità dell’imposta.
La compagine ricorreva dinanzi alla Corte d’appello di Cluj: detto giudice riteneva che tale ricorso sollevasse alcune questioni relative all’interpretazione della direttiva Iva.
In primo luogo, per i servizi forniti dalla società ad un’altra srl da maggio ad agosto 2011, la fornitrice aveva emesso una fattura nell’agosto 2011.
Al fine di valutare la legittimità di tale condotta, occorreva stabilire – secondo il giudice del rinvio – se i servizi in questione rientrassero nell’ambito di applicazione dell’articolo 64, paragrafo 2, della direttiva Iva, trasposto nel diritto rumeno, secondo cui i soggetti passivi possono prevedere che la fatturazione delle loro prestazioni si estenda su un periodo massimo di un anno qualora si tratti di «prestazioni di servizi effettuate in modo continuativo». Se risultasse che i servizi forniti rientravano nell’ambito di applicazione della norma da ultimo menzionata, l’amministrazione tributaria rumena avrebbe erroneamente ritenuto che il fatto generatore e l’esigibilità dell’imposta fossero intervenuti al momento della prestazione di tali servizi da parte della fornitrice e che, di conseguenza, quest’ultima fosse tenuta ad emettere fatture entro il quindicesimo giorno del mese successivo a detta prestazione.
Detti servizi, peraltro, erano stati effettivamente forniti in modo continuativo ma non era escluso che tali servizi avessero comportato versamenti di acconti o pagamenti successivi.
In secondo luogo, continuava il giudice rumeno, per i servizi forniti nel periodo compreso tra il novembre 2010 e l’ottobre 2011, la società aveva emesso una fattura il 3 ottobre 2011 ed aveva riscosso l’Iva il 1° novembre 2011, quando aveva ricevuto il compenso. Tale condotta sarebbe stata giustificata dalla circostanza che il pagamento era stato sottoposto ad una condizione relativa alla disponibilità di liquidità da parte del beneficiario di tali servizi.
Infine, in forza di un accordo di collaborazione concluso l’8 dicembre 2009, una società tra avvocati aveva accordato un aiuto finanziario alla società rumena e le aveva concesso il diritto di utilizzare il suo nome ed il suo logo. Secondo l’amministrazione tributaria rumena, tale accordo si inseriva in una strategia di marketing diretta ad attirare clienti al momento dell’avvio dell’attività della società, in qualità di amministratore o liquidatore di imprese in stato di insolvenza. Tuttavia, tale amministrazione avrebbe respinto la detrazione dell’Iva contenuta nelle fatture emesse dalla società tra avvocati in applicazione di tale accordo, con la motivazione che la società rumena non avrebbe dimostrato che i servizi forniti da quest’ultima erano utilizzati ai fini delle sue operazioni imponibili.
Inoltre, oltre alle tre questioni relative all’interpretazione della direttiva Iva, la controversia presentava una questione relativa ai diritti della difesa.
Questioni pregiudiziali
Pertanto, il giudice rumeno, sospeso il procedimento, ha sottoposto alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:
1) Se gli articoli 63, 64 e 66 della direttiva Iva ostino a una prassi amministrativa di un organo tributario – come quella del caso di specie, che ha imposto obblighi di pagamento supplementari al soggetto passivo, una società professionale a responsabilità limitata (Sprl) tramite cui gli amministratori di procedure di insolvenza possono esercitare la loro professione – consistente nel determinare il fatto generatore dell’imposta e l’esigibilità nel momento in cui sono stati prestati i servizi nell’ambito di una procedura di insolvenza, laddove l’onorario dell’amministratore delle procedure di insolvenza era stato determinato dal giudice fallimentare o dall’assemblea dei creditori, con conseguente obbligo a carico del soggetto passivo di emettere le fatture entro il quindicesimo giorno del mese successivo a quello in cui è sorto il fatto generatore dell’Iva
2) Se gli articoli 63, 64 e 66 della direttiva Iva ostino a una prassi amministrativa di un organo tributario, come quella del caso di specie, consistente nell’imporre obblighi di pagamento supplementari al soggetto passivo – una società professionale a responsabilità limitata (Sprl) tramite cui gli amministratori di procedure di insolvenza possono esercitare la loro professione – in quanto esso ha emesso fatture e riscosso l’Iva solo alla data dell’incasso dei pagamenti per i servizi forniti nell’ambito della procedura d’insolvenza, anche se l’assemblea dei creditori ha stabilito che il pagamento dell’onorario dell’amministratore di procedure di insolvenza è subordinato alla disponibilità di liquidità nei conti dei debitori
3) Se, nel caso di un accordo di cooperazione tra marchi tra uno studio legale ed il soggetto passivo, al fine di concedere il diritto a detrazione sia sufficiente che il soggetto passivo, nel provare l’esistenza di un collegamento diretto e immediato tra gli acquisti effettuati dal soggetto passivo a monte e le operazioni a valle, dimostri, dopo l’accordo, un aumento del fatturato/valore delle operazioni imponibili, senza ulteriore documentazione giustificativa. In caso di risposta affermativa, quali siano i criteri che devono essere presi in considerazione per determinare l’effettiva portata del diritto a detrazione
4) Se il principio generale di diritto dell’Unione del rispetto dei diritti della difesa debba essere interpretato nel senso che, qualora, nel corso di un procedimento amministrativo nazionale per la decisione su un reclamo avverso un avviso di accertamento che ha stabilito il pagamento di Iva supplementare, siano accolti argomenti di fatto e di diritto nuovi rispetto a quelli contenuti nel rapporto sulla verifica fiscale su cui si basa la decisione di emettere detto avviso, e al soggetto passivo siano state concesse misure giurisdizionali di tutela provvisoria, in attesa della decisione del giudice di merito, mediante la sospensione del titolo di credito, il giudice adito nel merito possa considerare che tale principio non è stato violato senza verificare se il procedimento avrebbe potuto sfociare in un esito diverso in assenza di tale irregolarità.
Sentenza
La Corte di giustizia, nello scrutinare il caso ad essa sottoposto, osserva che la società fornisce servizi alle imprese sottoposte a procedure di insolvenza non già con prestazioni una tantum, bensì in modo continuativo per un determinato periodo. Ciò posto, secondo la direttiva Iva, per le prestazioni che comportano versamenti di acconti o pagamenti successivi, come i pagamenti rateizzati, il fatto generatore dell’imposta si verifica e l’imposta diviene esigibile al momento della scadenza dei periodi cui si riferiscono tali versamenti di acconti o tali pagamenti (articolo 64, paragrafo 1 direttiva Iva). Invece, l’articolo 64, paragrafo 2, secondo comma, di detta direttiva – che conferisce agli Stati membri il potere di considerare effettuate al termine dell’anno le prestazioni continuative, che prevedono il versamento di acconti – stabilisce un regime la cui attuazione è facoltativa: il diritto rumeno, in particolare, ha effettivamente deciso di attuare detta disposizione.
Di conseguenza, al fine di stabilire se le prestazioni del caso di specie rientrino nell’ambito di applicazione dell’articolo 64, paragrafo 1, o dell’articolo 64, paragrafo 2, della direttiva Iva, come trasposti nel diritto rumeno, spetta al giudice del rinvio valutare la natura di tali prestazioni, vale a dire se le stesse siano effettivamente eseguite in modo continuativo per un determinato periodo e, in particolare, se comportino versamenti di acconti o pagamenti successivi.
Il momento di esigibilità dell’Iva
La Corte prosegue esponendo che, dall’applicazione combinata dell’articolo 63 e dell’articolo 64, paragrafo 1, della direttiva Iva risulta che, per le prestazioni che comportano versamenti di acconti o pagamenti successivi, il fatto generatore dell’imposta si verifica e quest’ultima diviene esigibile al momento della scadenza dei periodi cui si riferiscono tali versamenti di acconti o tali pagamenti.
Tale determinazione del momento ai sensi dell’articolo 64, paragrafo 1, della direttiva Iva ha carattere vincolante per i soggetti passivi. Infatti, l’articolo 64 citato non consente di subordinare l’insorgenza dell’imposta e la sua esigibilità ad una condizione relativa all’incasso effettivo del corrispettivo dovuto per i servizi forniti in un determinato periodo. Al contrario, alla scadenza di tale periodo, vale a dire alla data in cui il pagamento di tale corrispettivo è normalmente dovuto, l’imposta diventa invariabilmente esigibile, sebbene tale pagamento non sia stato incassato per qualsivoglia ragione, anche a causa della mancanza di liquidità sul conto del debitore.
I limiti del diritto di detrazione dell’Iva
Il Collegio di Lussemburgo espone, poi, che, ai sensi dell’articolo 168, lettera a), della direttiva Iva, nella misura in cui i beni e i servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo ha il diritto, nello Stato membro in cui effettua tali operazioni, di detrarre dall’importo dell’imposta di cui è debitore l’Iva dovuta o assolta in tale Stato membro per i beni che gli sono o gli saranno ceduti e per i servizi che gli sono o gli saranno resi da un altro soggetto passivo. Inoltre, affinché il diritto a detrazione dell’Iva assolta a monte sia riconosciuto al soggetto passivo, è, in linea di principio, necessaria la sussistenza di un nesso diretto ed immediato tra una specifica operazione a monte ed una o più operazioni a valle che conferiscono il diritto a detrazione. Il diritto a detrarre l’Iva gravante sull’acquisto di beni o servizi a monte presuppone che le spese effettuate per acquistare questi ultimi facciano parte degli elementi costitutivi del prezzo delle operazioni tassate a valle che conferiscono il diritto a detrazione. Detto diritto è, tuttavia, parimenti ammesso a beneficio del soggetto passivo, anche in mancanza di un nesso diretto ed immediato tra una specifica operazione a monte ed una o più operazioni a valle che conferiscono un diritto a detrazione, qualora i costi dei servizi in questione facciano parte degli elementi di costo generali del soggetto passivo e, in quanto tali, siano elementi costitutivi del prezzo dei beni o dei servizi che esso fornisce. Costi di tal genere presentano, infatti, un nesso immediato e diretto con il complesso dell’attività economica del soggetto passivo.
Nell’uno o nell’altro caso – continuano i togati comunitari – è necessario che il costo dei beni o delle prestazioni a monte sia incorporato rispettivamente nel prezzo delle operazioni specifiche a valle o nel prezzo dei beni o dei servizi forniti dal soggetto passivo nel contesto delle sue attività economiche. Una volta accertato che un’operazione non è stata effettuata ai fini delle attività imponibili di un soggetto passivo, non si può considerare che tale operazione presenti un nesso diretto ed immediato con tali attività ai sensi della giurisprudenza della Corte, anche allorquando tale operazione, in base al suo contenuto oggettivo, sarebbe soggetta all’Iva. Nell’ipotesi in cui le spese sostenute si riferissero in parte a un’attività esente o non economica del soggetto passivo, l’Iva assolta su tali spese potrebbe essere detratta solo in parte.
Nel caso di specie, osserva la Corte di giustizia, la società aveva fornito all’amministrazione tributaria rumena documenti attestanti un aumento del suo fatturato o del volume delle sue operazioni imponibili.
Tuttavia, tenuto conto delle considerazioni che precedono, siffatte circostanze non possono, di per sé, consentire all’amministrazione tributaria rumena di stabilire l’esistenza di un nesso tra i servizi forniti alla società in forza del contratto di collaborazione concluso con la compagine di avvocati e le operazioni eseguite dalla società rumena a valle, che danno diritto a detrazione. Del resto, l’articolo 168, lettera a), della direttiva Iva non subordina affatto l’esercizio del diritto a detrazione ad un criterio relativo all’aumento del fatturato del soggetto passivo né, in termini più generali, ad un criterio di redditività economica dell’operazione effettuata a monte. In particolare, l’assenza di aumento del fatturato del soggetto passivo non può incidere sull’esercizio del diritto a detrazione.
Pertanto, il diritto a detrazione, una volta sorto, rimane acquisito anche se, successivamente, l’attività economica prevista non è stata realizzata e, perciò, non ha dato luogo ad operazioni soggette ad imposta o se il soggetto passivo non ha potuto utilizzare i beni o i servizi che hanno dato luogo a detrazione nell’ambito di operazioni imponibili a causa di circostanze estranee alla sua volontà.
Diritto al contraddittorio e prova di resistenza
Con l’ultima questione pregiudiziale ad essa sottoposta, la Corte di giustizia premette che, nel caso di specie, l’amministrazione tributaria rumena ha adottato un avviso di accertamento con il quale ha constatato irregolarità in particolare per quanto riguarda il momento dell’esigibilità dell’Iva preso in considerazione dalla società rumena e tale avviso è stato parzialmente confermato all’esito di un procedimento di reclamo, ma sulla base di elementi di fatto e di diritto nuovi, senza tuttavia che la compagine fosse stata invitata a prendere posizione in merito a tali elementi.
Ebbene – spiegano i togati comunitari – il rispetto dei diritti della difesa costituisce un principio fondamentale del diritto dell’Unione di cui il diritto al contraddittorio in qualsiasi procedimento costituisce parte integrante. Quindi, ogniqualvolta l’amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo, i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione.
Al fine di assicurare una tutela effettiva della persona o dell’impresa coinvolta, la suddetta regola ha in particolare l’obiettivo di consentire all’amministrazione di correggere un errore o far valere elementi relativi alla loro situazione personale tali da far sì che la decisione sia adottata o non sia adottata, ovvero abbia un contenuto piuttosto che un altro.
Tuttavia, secondo la giurisprudenza europea, occorre tener conto dell’interesse generale dell’Unione a recuperare tempestivamente le entrate proprie, il che impone che le verifiche fiscali possano essere realizzate prontamente ed efficacemente: in questo senso, una restrizione del diritto al contraddittorio prima dell’adozione di una decisione lesiva, quale un avviso di pagamento, può essere giustificata qualora, da un lato, al momento della presentazione di un ricorso contro tale decisione, l’interessato sia effettivamente in grado di chiedere l’adozione di misure provvisorie che comportino la sospensione della decisione in questione e, dall’altro, tale ricorso gli consenta di far valere utilmente il proprio punto di vista.
Pertanto, l’obbligo che incombe al giudice nazionale di garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione non ha sempre come conseguenza l’annullamento di un provvedimento, laddove quest’ultimo sia stato adottato in violazione dei diritti della difesa. Infatti, una simile violazione, in particolare del diritto al contraddittorio, determina l’annullamento del provvedimento adottato al termine del procedimento amministrativo di cui trattasi soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, tale procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso.
Conclusioni
1) L’articolo 64 della direttiva Iva deve essere interpretato nel senso che rientrano nell’ambito di applicazione del paragrafo 1 di tale articolo le prestazioni di servizi fornite in modo continuativo per un determinato periodo, come quelle effettuate, ai sensi del diritto rumeno, dagli amministratori e dai liquidatori giudiziari a favore delle imprese sottoposte a procedure di insolvenza, nei limiti in cui, fatte salve le verifiche incombenti al giudice del rinvio, tali prestazioni comportano versamenti di acconti o pagamenti successivi
2) L’articolo 64, paragrafo 1 della direttiva Iva deve essere interpretato nel senso che nell’ipotesi in cui il pagamento del corrispettivo per prestazioni rientranti nell’ambito di applicazione di tale disposizione non possa essere effettuato a causa dell’insufficienza di liquidità sui conti del debitore, detta disposizione non consente di ritenere che l’Iva diventi esigibile solo al momento dell’effettivo incasso del corrispettivo
3) L’articolo 168, lettera a), della direttiva Iva deve essere interpretato nel senso che al fine di accertare l’esistenza di un nesso diretto e immediato tra, da un lato, una specifica operazione a monte e, dall’altro, operazioni a valle che danno diritto a detrazione, occorre determinare il contenuto oggettivo di tali operazioni, il che implica che siano prese in considerazione tutte le circostanze in cui si sono svolte dette operazioni, vale a dire, in particolare, l’uso effettivo dei beni e dei servizi acquistati a monte dal soggetto passivo e la causa esclusiva di tale acquisto, senza che l’aumento del fatturato o del volume delle operazioni imponibili costituisca un elemento pertinente al riguardo
4) Il principio generale del diritto dell’Unione del rispetto dei diritti della difesa deve essere interpretato nel senso che nell’ambito di un procedimento amministrativo di reclamo avverso un avviso di accertamento che determina l’Iva, qualora l’autorità competente adotti una decisione fondata su elementi di fatto e di diritto nuovi, in merito ai quali l’interessato non ha potuto prendere posizione, si richiede che la decisione adottata al termine di detto procedimento sia annullata se, in assenza di tale irregolarità, detto procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso, ancorché, su domanda dell’interessato, sia stata disposta la sospensione dell’esecuzione di tale avviso di accertamento parallelamente al ricorso giurisdizionale proposto avverso detta decisione.
Fonte:
Data della sentenza
13 giugno 2024
Numero della causa:
Causa C-696/2022
photocredit: Corte di Giustizia dell’Unione Europea