Roma – È legittimo il nuovo accertamento parziale avente ad oggetto il recupero di aiuto di Stato anche frazionato, successivo a un accertamento relativo ad altra parte del recupero dell’agevolazione, poiché si ritiene prevalente l’esigenza di dare esecuzione alla disciplina unionale: questo è quanto affermato, in sintesi, dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 15006 del 29 maggio 2024.
Il principio di unicità e globalità dell’accertamento
Per i principi di unicità e globalità dell’accertamento, la consumazione del potere accertativo si determina con il primo atto emanato in relazione a ciascun tributo e per ciascun periodo d’imposta. Più chiaramente, l’avviso di accertamento deve essere tendenzialmente uno solo per ciascun periodo d’imposta (cosiddetto “principio di unicità”) e avere ad oggetto la totalità del presupposto realizzato dal contribuente (cosiddetto “principio di globalità”). Il principio, negli anni, ha trovato fondamento, a livello positivo, nell’articolo 43, comma 3, del Dpr n. 600/1973 che ricollega la possibilità di integrazione o modifica del (primo) avviso di accertamento allo specifico presupposto della «sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi» di fatto, da enunciare nel nuovo atto, insieme alle fonti di conoscenza, espressamente e a pena di nullità. Si tratta di bilanciare i principi di certezza del diritto, di legittimo affidamento e del giusto processo, con quelli di capacità contributiva e di buon andamento, che sarebbe leso ove l’Amministrazione fosse obbligata ad emettere l’avviso solo una volta che abbia ricostruito globalmente il presupposto d’imposta.
Oggi il principio trova espressa previsione nella legge n. 212 del 27 luglio 2000 (“Statuto dei diritti del contribuente”) che, in attuazione della riforma tributaria, all’articolo 9-bis introduce il principio di “ne bis in idem nel procedimento tributario” (rubrica della norma), secondo cui “Salvo che specifiche disposizioni prevedano diversamente e ferma l’emendabilità di vizi formali e procedurali, il contribuente ha diritto a che l’amministrazione finanziaria eserciti l’azione accertativa relativamente a ciascun tributo una sola volta per ogni periodo d’imposta”.
La giurisprudenza ha, però, individuato alcune deroghe al principio di omnicomprensività dell’accertamento. In tal senso è il principio per cui per l’Imu è stata esclusa la disciplina dell’accertamento integrativo, stante l’assenza di una disposizione come quelle di cui all’articolo 43, comma 3, del Dpr 600/73 e all’articolo 57, comma 4, del Dpr 633/72, rispettivamente in tema di imposte dirette e Iva (sentenza della Cassazione n. 27261 del 25 settembre 2023). Ancora, è stato ritenuto legittimo l’ulteriore accertamento fondato su indagini finanziarie nonostante un precedente fondato sul cosiddetto redditometro (sentenza della Cassazione n. 9337 del 21 maggio 2020).
Ebbene, di fatto, la decisione in commento tratteggia un’ulteriore deroga al principio richiamato, fondata sulla supremazia del diritto sovranazionale e rilevante pur dopo la espressa codificazione nello Statuto dei diritti del contribuente.
La decisione della Corte di Cassazione
Al contribuente, che aveva beneficiato di un aiuto di Stato, era stato notificato dapprima un accertamento parziale avente ad oggetto il differenziale tra la soglia e l’importo effettivamente fruito e, successivamente, gli veniva notificato un “nuovo accertamento parziale” conseguente alla contestazione del superamento della soglia “de minimis”, considerato che lo sforamento dei limiti “de minimis” comporta l’esclusione in radice del beneficio (cfr. sentenza della Cassazione n. 11228 del 20 maggio 2011).
La questione posta all’attenzione della Corte di Cassazione ha ad oggetto, quindi, la legittimità o meno dell’emissione di un nuovo accertamento parziale, ex articolo 41-bis del Dpr n. 600/1973, a fronte del medesimo recupero dell’aiuto di Stato.
L’ordinanza in commento ripercorre preliminarmente la ratio della disposizione di cui all’articolo 41-bis del Dpr n. 600/1973 in tema di “accertamento parziale”, fondato sulle risultanze di “ulteriori elementi” ricavabili da “attività istruttorie” o “segnalazioni” provenienti da vari uffici, da cui si possa dedurre la presenza di ulteriori redditi o maggiore imposta. È, quindi, estranea alla ratio della disposizione l’ipotesi di un “ripensamento” dell’ufficio fondato sugli stessi elementi già presi in considerazione in sede di un precedente atto impositivo che si porrebbe in contrasto con le esigenze di difesa del contribuente.
Più chiaramente, di regola, l’avviso di accertamento parziale non impedisce all’Ufficio di procedere ad un ulteriore accertamento, per il medesimo periodo d’imposta, entro i termini di decadenza previsti dalla Legge, purché lo stesso sia fondato su fonti diverse da quelle poste a base del primo o comunque su dati la cui conoscenza, da parte dell’ente impositore, sia ad esso sopravvenuta, in applicazione del generale principio della tendenziale unicità degli accertamenti, di cui gli strumenti previsti da queste due disposizioni costituiscono deroga, altrimenti pregiudicandosi il diritto del contribuente ad una difesa unitaria e complessiva che tale principio garantisce.
Fatta la premessa generale, la Corte di Cassazione specifica tuttavia che “ove l’oggetto del recupero sia costituito da aiuti di stato (ricordando che come tali si devono intendere non solo erogazioni ma anche risparmi d’imposta, cfr. in particolare considerando da 110 a ss. della decisone della Commissione di cui subito infra), ciò possa determinare una differente soluzione, segnatamente tramite la disapplicazione della disposizione interna”.
L’affermazione fonda sulla prevalenza della normativa comunitaria in tema di aiuti di Stato, precisandosi che sono dotate di efficacia diretta anche le decisioni con cui la Commissione, nell’esercizio del controllo sulla compatibilità degli aiuti di stato con il mercato comune, disponga la sospensione di una misura di aiuto, ne dichiari l’incompatibilità o ne ordini la restituzione, e comporta l’invalidità e/o l’inefficacia delle norme di legge e degli atti amministrativi o negoziali in forza dei quali la misura di aiuto è stata erogata (sentenza della Cassazione n. 35984 del 22 novembre 2021, sentenza della Cassazione n. 22318 del 3 novembre 2010).
Presupposto del recupero dell’aiuto oggetto del caso di specie, è la decisione n. 2016/195 del 14 agosto 2015, relativa ad agevolazioni fiscali e contributive connesse a calamità naturali e ad agevolazioni fiscali e contributive connesse al terremoto del 2009 in Abruzzo. Con la citata decisione la Commissione Europea ha ritenuto le misure in esame “aiuti incompatibili con il mercato interno” Quanto alle conseguenze derivanti dalla decisione, al considerando n. 134 la Commissione chiarisce che “La presente decisione richiede un’applicazione immediata, anche per quanto concerne il recupero degli aiuti concessi in maniera illegale e dichiarati incompatibili.”.
Nella parte della decisione dedicata alle modalità del recupero, il considerando n. 139, dopo aver disposto che “dal momento in cui si accerta che l’aiuto in esame costituisce un aiuto di Stato illegale e incompatibile, in linea di principio, l’importo corrispondente deve essere restituito al fine di ripristinare la situazione di mercato precedente la concessione dell’aiuto” precisa, tuttavia, che “il regolamento (CE) n. 659/1999 stabilisce dei limiti alle disposizioni di recupero. Ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, «la Commissione non impone il recupero dell’aiuto qualora ciò sia in contrasto con un principio generale del diritto comunitario», ad esempio la tutela della certezza giuridica o il legittimo affidamento”. Quanto al principio del legittimo affidamento, si è però chiarito che “in via di principio, il beneficiario di un aiuto non notificato non può opporsi a un ordine di recupero facendo legittimo affidamento sulla regolarità di un aiuto, poiché un’impresa diligente deve normalmente essere in grado di accertarsi che un aiuto sia stato notificato.”, e la stessa disposizione che configura l’aiuto fa espresso riferimento ai limiti unionali che lo stesso subisce (cfr. articolo 15, comma 3, legge regionale n. 21/2015). Quanto al principio di certezza del diritto, già è stato chiarito che l’esistenza di sentenze esecutive di tribunali nazionali non preclude il recupero (Causa C-119/05 ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato/L. Spa.) e nel caso in esame il processo è ancora in corso.
Muovendo dalla decisione della Commissione e dalla sua efficacia diretta nell’ordinamento interno, la Corte sottolinea che il divieto di accertamenti frazionati, previsto dalla disciplina interna, non può essere di ostacolo al recupero dell’aiuto, dovendosi dare prevalenza alla disciplina unionale comprensiva, come chiarito, delle decisioni della Commissione e delle sentenze della Corte di Giustizia.
Nello stesso senso, è stata fatta prevalere l’esigenza di recupero anche rispetto alle norme interne, disapplicandole, come nei seguenti pronunciamenti: sentenza della Cassazione n. 25633 del 01 settembre 2023, affermando la cedevolezza del giudicato rispetto alla decisione della Commissione; sentenza della Cassazione n. 36772 del 15 dicembre 2022, disapplicando le condizioni di ammissibilità della domanda tardiva di insinuazione al passivo fallimentare; sentenza della Cassazione n. 20173 del 22 giugno 2022, che ha disapplicato il termine di decadenza di cui all’articolo 25, comma 1, lettera c), del Dpr n. 602/1973 – nonostante il rinvio dell’articolo 24, comma 4, della legge n. 29/2006, anche alle norme in materia di riscossione – (sul punto si veda anche la sentenza della Cassazione n. 4860 del 19 febbraio 2019); sentenza della Cassazione n. 15407 del 22 luglio 2015, che ha ritenuto la disapplicazione della disciplina del condono.
In definitiva, in presenza di un aiuto di stato e delle necessità della relativa neutralizzazione, ai fini dell’ottemperanza degli obblighi unionali, è dovuta la disapplicazione di una norma in generale altrimenti legittima.
Pertanto, pur dovendosi in generale confermare la ratio e portata del disposto di cui all’articolo 41-bis, Dpr n. 600/1973, tale norma va disapplicata, dando invece prevalenza all’esigenza di rendere esecuzione alla decisione della Commissione e, pertanto, deve affermarsi che anche in assenza di circostanze o fatti sopravvenuti a fronte di un primo accertamento, l’amministrazione può provvedere al recupero degli aiuti di stato attraverso un nuovo avviso di accertamento, che sia così idoneo a neutralizzare un beneficio contrastante con la decisione della Commissione.
La Corte di Cassazione afferma, pertanto, il seguente principio di diritto: “Il giudice nazionale, in relazione all’esigenza di ottemperare agli obblighi comunitari di neutralizzazione degli aiuti di stato, non contrastata dalla necessità di tutela della certezza del diritto o di un legittimo affidamento o ancora di impossibilità di esecuzione, deve disapplicare la disposizione di cui all’articolo 41-bis, Dpr n. 600/1973, che stabilisce il principio di unitarietà dell’accertamento fiscale, e pertanto deve ritenere la legittimità di un recupero anche frazionato dell’aiuto, purché l’amministrazione giunga all’obiettivo del rispetto della normativa di cui all’articolo 289 Tfue”.