“Rapsodia algherese” (Edizioni Efesto) di Sandro Cervelli è un romanzo stratificato, intrigante ed intricato, che con la sua scrittura mai banale e prevedibile sfida il lettore in un continuo gioco di rimandi storici e letterari, nascondendo sotto le vesti di un’avventurosa vicenda di pirati e briganti tematiche tutt’altro che scontate. Partiamo, quindi, proprio dal messaggio: un inno alla libertà, all’autodeterminazione (emblematiche le figure femminili mai sottomesse alla ferocia del patriarcato) al cercare la propria strada anche e soprattutto al di fuori delle imposizioni di famiglia, monogamia, religione e sudditanza civile. Il brigante ed il pirata di “Rapsodia algherese” sono l’emblema di questa ribellione: outsider per definizione, energia vitale che si manifesta in un costante “no” alle imposizioni sociali.
Sandro, i suoi personaggi sono figure che riescono ancora a gridare un messaggio attuale? La società di oggi è ancora affondata nella palude delle convenzioni o possiamo dire che non c’è più bisogno dell’eroe romantico, del fuorilegge nella narrativa italiana del terzo decennio dei Duemila?
«Le protagoniste femminili, fondamentali nel romanzo, hanno un comune atteggiamento di ribellione allo status di sudditanza cui la famiglia patriarcale le relega. Siano o meno archetipi delle eroine romantiche, sono figure assimilabili più a Circe che a Didone, che oggi definiremmo “emancipate” e, comunque, non asservite. Del resto la donna nella società patriarcale era fondamentale per la gestione della casa, dei figli, degli anziani con compiti sociali ben definiti, ma di certo poco appaganti. Non c’era alcuna possibilità di gestire in autonomia la propria vita se non diventando outsider o fuorilegge. Il primo caso è quello di Caterina, il secondo è quello di Chiara, due eroine combattenti l’ingiusta protervia maschile, come lo è stata Giuditta uccidendo Oloferne. Messaggio, questo, forte e di rivalsa, forse superato da una parità non ancora del tutto scontata. Se questo tipo di messaggio possa essere anacronistico o meno sta non tanto nella mente di chi scrive, quanto in quella di chi legge, essendo universale, necessario e appena sufficiente per il primo, mentre necessita di mente aperta e consapevole per il secondo».
È giusto, se non necessario, portare all’attenzioneillinguaggioimpiegatoinquest’opera:riccadiallitterazioni e anastrofi, sembra alle volte sviare per illuminare, stordire per far ragionare. Il ritmo spesso si spezza, si arrotola, come un minuetto o un duello in punta di spada.
Quali sono i modelli ai quali si è ispirato? Qual è l’effetto che si proponeva di generare nella mente del lettore?
«L’uso voluto di un linguaggio forbito, ricercato e accurato, ma senza leziosità, che cerca perfino la musicalità nel fraseggio, vuole stimolare, anzi di più: spronare la curiosità intellettuale dei “duri d’orecchio” al fine di continuare la tradizione della bella lingua italiana che Dante consacrò tale e Manzoni elevò ai massimi livelli. Ciò rifiutando la barbarie dei “messaggini” e degli “emoji”, tuttavia riconoscendone utile il “sintetismo espressivo” in un mondo divenuto ormai troppo veloce. Scrivere vuol dire, dunque, riflettere, ricordare ma, soprattutto, godere della gioia che può donare al lettore la bellezza di un pensiero ben pensato».
Il romanzo trabocca di citazioni, omaggi e piccoli tesori nascosti (i ragazzi li chiamerebbero “easter eggs”, prendendo a prestito il linguaggio dei videogiochi) nei nomi dei personaggi e in costanti, brevi apparizioni. Abbiamo il barone di Munchausen, un nostromo etiope che si chiama Narcissus (impossibile non ravvedere “il Nero del Narciso” di Conrad in questo personaggio) e poi Cervantes, la famiglia Bonaparte, il brigante Giovanni Phais. una conversazione cifrata che si svolge attraverso la disposizione dei tarocchi (è suggestivo leggere in filigrana un omaggio al “Castello dei Destini Incrociati” di Italo Calvino).
Sandro, quanto conta la letteratura per lei? Quanto è importante trasmetterne il lascito ai giovani lettori?
«La cultura letteraria che abbiamo ereditato è il nostro stesso essere pensante; quell’ “io” conscio – e più spesso inconscio – che ci individua quali esseri vitali. Ogni giusto pensiero lasciato in eredità spirituale allo scibile della conoscenza umana, è un tesoro prezioso da custodire. Non gelosamente, però! Ma caparbiamente occorre trasmetterlo agli altri, specialmente ai giovani. Per questo, nel romanzo gioco col lettore, sfidandolo a trovare i riferimenti letterari e i “camei” culturali di cui è impreziosito il testo».
Tra agnizioni dell’ultimo momento, fratelli divisi alla culla, innominabili violenze perpetrate a più riprese tra consanguinei e matrimoni sul punto di crollare (per non parlare di quelli già distrutti tra atroci sofferenze) la famiglia – se non altro quella tradizionale –, così spesso citata nei recenti dibattiti, compare mortalmente ferita in questo romanzo.
Qual è, secondo lei, il significato di “famiglia” in “Rapsodia Algherese”?
«Occorrerebbe del tempo per intraprendere una dissertazione socio-antropologica sull’istituzione familiare. Ritengo, però, sia utile un sintetico chiarimento sui due tipi di famiglie esistenti a quel tempo. Se la famiglia popolar-contadina aveva come scopo fondamentale generare braccia per il lavoro nei campi, nello stesso tempo le famiglie-casato nobiliari avevano come unico e fondamentale scopo il mantenimento del potere, ricchezza e dei beni materiali derivanti dall’appartenere a quella.
Questi due modelli-tipo nel XVIII secolo avevano in comune però la struttura patriarcale di esse. Un patriarca, padre-padrone, a cui si riconducevano e demandavano decisioni e volontà comuni, senza possibilità di un contraddittorio interno ai membri della famiglia. Alla domanda se questo tipo di famiglia sia ancora tollerabile, la risposta è: certamente no! Sebbene in molte nazioni del mondo ciò sia ancora tragicamente attuale. Naturalmente questo era lo stato dei fatti a quel tempo e questo ho denunciato affinché a quello stato non si ritornasse».
Il protagonista, dapprima nominato “Ombra”, poi mascheratosi sotto lo pseudonimo di “Guillotten”, è un uomo libero, un astuto stratega, un incrollabile combattente, il miglior lupo di mare del Mediterraneo e anche un irresistibile seduttore.
Si è ispirato a qualche personaggio letterario in particolare, ad una figura storica realmente esistita o è solo frutto del suo ingegno?
«È innegabile che il nostro modo di pensare sia condizionato inconsciamente da tutto ciò che si è studiato, letto, osservato nel corso della propria formazione culturale. Per questo nell’ideazione del personaggio non posso escludere di essere stato suggestionato, in quanto lettore attento. Guillotten è caratterialmente un guascone come D’Artagnan, mitigato da una razionalità illuminata; ma è anche uomo d’azione, colto, appassionato e romantico amante, spesso deluso nelle proprie aspettative come Cyrano de Bergerac; ma non basta, è certamente un ribelle, intollerante dei soprusi dei potenti, consapevole dell’uguaglianza e fratellanza tra gli uomini, per questo fautore di giustizia e libertà, come Zorro! Non è, dunque, solo un eroe romantico, come Byron o Foscolo, ma anche e più propriamente un eroe risorgimentale come Garibaldi, Bolivar o il più contemporaneo Guevara. Per questo può agevolmente interagire e condizionare positivamente i lettori, senza sfigurare nel raffronto con altri, anche nel panorama letterario odierno. Se poi ci si volesse raffigurare nella mente l’aspetto esteriore del personaggio, la copertina può essere un valido suggerimento».
Ad un tratto la barca dei protagonisti viene trascinata da una singolare creatura marina, che si scoprirà in seguito essere un bue marino: la resurrezione di alcuni soldati si svelerà essere solo un intrigo ordito dai banditi e il cosiddetto fantasma della nave è solo una persona estremamente abile nel passare inosservata.
Che cos’è, dunque, la fantasia? La disposizione a lasciarsi ingannare è una strada privilegiata per l’immaginazione o è solo una debolezza da sfruttare da parte di chi non ha scrupoli?
«La fantasia tradisce o illude solo chi non sa distinguerla dalla realtà (ossia menti semplici, senza sovrastrutture difensive come quelle infantili o predisposte alla credulità). Questo accade quando la fantasia usa le regole del vero senza modificarle o artefarle. Sta al senso critico di chi legge capire se ciò che viene narrato sia spiegabile o meno, verosimile o soprannaturale e/o esoterico. Questo è il caso dell’incontro di frate Francesco con la Janna (una fata), episodio veramente inspiegabile razionalmente, ossia fantastico, ma pertinente ai fini del racconto. Altri esempi riportati sono tutti spiegabili quali strategie umane: la foca è ammaestrata a trascinare la barca, gli ufficiali non sono morti ma frutto di una “messa in scena” o burla ai danni dell’esercito, il fantasma è una strategia difensiva!
Dunque, la fantasia di chi scrive deve creare un mondo eticamente verosimile (non virtuale), in cui le leggi che regolano il vero siano comunque rispettate, ma accuratamente artefatte ed utilizzate al bisogno per generare l’inverosimile, il paradossale, l’inatteso e il sorprendente. Ossia per creare il bello, il gratificante, il piacevole, lo stupefacente per chi legge. Il vero è la regola, il verosimile è l’eccezione che la conferma».
Grande protagonista di questo romanzo è senza dubbio la Sardegna, terra di conquista, dove potenze non locali esercitano un’autorità immeritata. Un paradiso incastonato in un mare senza padroni, con panorami mozzafiato, rievocato spesso da descrizioni impareggiabili.
Che cos’è questa terra per lei? Sarebbe possibile ambientare questa vicenda altrove o è intimamente legata all’Isola?
«È il mio “buen retiro”, “l’isola che… c’è”, quasi caraibica. Un mondo idilliaco, un’Arcadia bucolica ferma a un’età dell’oro altrove perduta. In particolare, Alghero è la Port Royal mediterranea, affascinante per mille storie esotiche e misteriose. Il suo fascino si arricchisce nell’integrazione con una vita, quella isolana, assai diversa dalla continentale, con ritmi e modalità del tutto proprie, in cui poter vivere liberamente, ma nell’assoluto rispetto della libertà altrui. Se il protagonista, per carattere, cultura ed esperienze di vita del tutto peculiari, potrebbe vivere le sue avventure non solo nella Sardegna del XVIII secolo ma in tutto il globo terracqueo (come avverrà negli altri capitoli di questa saga, che per ora è una trilogia), il luogo prescelto per questo preciso romanzo non può essere altro che la Sardegna. Quel mare, sole, vento e sale, quel modo di essere e di pensare, quel mondo catalano racchiuso da muraglie e torri aragonesi non può che essere Alghero: frutto dell’interazione di più culture con quella autoctona nuragica, che ha segnato profondamente il carattere della società sarda, rendendolo immodificabile e unico».
Autore: Sandro Cervelli
Editore: Edizioni Efesto
Anno edizione: 2023
Pagine: 330
Prezzo: 17,50 Euro
“Rapsodia algherese” (Edizioni Efesto, 2023) di Sandro Cervelli è disponibile sul sito della casa editrice, su internet o preordinandolo in tutte le librerie.