Roma -La Corte di giustizia Ue, con la sentenza del 29 luglio 2024, resa nella causa C-623/2023, ha chiarito che la normativa fiscale belga relativa alla cooperazione amministrativa fiscale non contrasta con la direttiva Ue 2018/822 che modifica la direttiva 2011/16, alla luce dei principi di parità di trattamento e di non discriminazione. Inoltre, non vengono riscontrate violazioni ai principi di certezza del diritto, di legalità in materia penale e del diritto al rispetto della vita privata.
Con tre diversi ricorsi, i contribuenti, nei procedimenti principali, chiedevano alla Corte costituzionale del Belgio l’annullamento totale o parziale della legge belga del 20 dicembre 2019, che ha trasposto la direttiva 2018/822 e ha apportato modifiche alla legislazione fiscale nazionale, in relazione al codice delle imposte sui redditi, al codice delle imposte di registro, ipoteca e cancelleria, al codice delle imposte di successione nonché al codice delle imposte e tasse di varia natura.
Le questioni pregiudiziali
Ciò premesso, la Corte costituzionale ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:
- se la direttiva Ue 2018/822 che modifica la direttiva 2011/16 per quanto riguarda lo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale relativamente ai meccanismi transfrontalieri soggetti all’obbligo di notifica violi l’articolo 6, paragrafo 3, del Trattato Ue nonché gli articoli 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali Ue, e più specificamente il principio di uguaglianza e di non discriminazione sancito da tali disposizioni, in quanto la direttiva 2018/822 non limita all’imposta sulle società l’obbligo di notifica dei meccanismi transfrontalieri soggetti all’obbligo di notifica, bensì lo rende applicabile a tutte le imposte che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 2011/16, il che include, nel diritto belga, non solo l’imposta sulle società, ma anche le imposte dirette diverse da quest’ultima e le imposte indirette, quale l’imposta di registro
- se la direttiva 2018/822 violi il principio di legalità in materia penale sancito dall’articolo 49, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali Ue e dall’articolo 7, paragrafo 1, della Cedu, e violi il principio generale della certezza del diritto e il diritto al rispetto della vita privata sancito dall’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali Ue e dall’articolo 8 Cedu, in quanto le nozioni di “meccanismo” (e pertanto quelle di meccanismo “transfrontaliero”, “commerciabile” e “su misura»), “intermediario”, “partecipante”, “impresa associata”, l’aggettivo “transfrontaliero”, i vari “elementi distintivi” e il “criterio del vantaggio principale”, che la direttiva 2018/822 utilizza per definire l’ambito di applicazione e la portata dell’obbligo di notifica dei meccanismi transfrontalieri soggetti all’obbligo di notifica, non sarebbero sufficientemente chiari e precisi
- se la direttiva 2018/822, in particolare nella parte in cui introduce l’articolo 8 bis-ter, paragrafi 1 e 7, della direttiva 2011/16, violi il principio di legalità in materia penale stabilito dall’articolo 49, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali Ue e dall’articolo 7, paragrafo 1 Cedu, e violi il diritto al rispetto della vita privata sancito dall’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali Ue e dall’articolo 8 Cedu, in quanto il dies a quo del termine di 30 giorni entro il quale l’intermediario o il contribuente pertinente deve adempiere l’obbligo di notifica di un meccanismo transfrontaliero soggetto all’obbligo di notifica non sarebbe fissato con sufficiente chiarezza e precisione
- se l’articolo 1, punto 2, della direttiva 2018/22 violi il diritto al rispetto della vita privata sancito dall’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali Ue e dall’articolo 8 Cedu, in quanto il nuovo articolo 8-bis-ter, paragrafo 5, che lo ha inserito nella succitata direttiva 2011/16 prevede che, se uno Stato membro adotta le misure necessarie per concedere agli intermediari il diritto all’esenzione dall’obbligo di comunicazione su un meccanismo transfrontaliero soggetto a notifica, quando l’obbligo sarebbe in contrasto con il segreto professionale applicabile in forza del diritto nazionale, lo stesso Stato è tenuto a imporre agli intermediari di notificare a un eventuale altro intermediario o, in sua assenza, al contribuente pertinente, i rispettivi obblighi di comunicazione, nella misura in cui da tale adempimento deriva che un intermediario che è soggetto al segreto professionale penalmente sanzionato in forza del diritto interno è tenuto a condividere con un altro intermediario che non è il suo cliente le informazioni che acquisisce nell’esercizio della sua professione
- se la direttiva 2018/822 violi il diritto al rispetto della vita privata sancito dall’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali Ue e dall’articolo 8 Cedu, in quanto l’obbligo di notifica dei meccanismi transfrontalieri soggetti all’obbligo di notifica comporterebbe un’ingerenza nel diritto al rispetto della vita privata degli intermediari e dei contribuenti che non sarebbe ragionevolmente giustificata e proporzionata rispetto agli obiettivi perseguiti e non sarebbe rilevante con riguardo all’obiettivo di garantire il corretto funzionamento del mercato interno.
Lo scambio di informazioni
La Corte premette che, per quanto riguarda il principio di non discriminazione enunciato all’articolo 21 della Carta, non risulta in che modo l’applicazione indistinta dell’obbligo di comunicazione in argomento, nei confronti dei diversi tipi di imposte, possa rivelare l’esistenza di una differenza di trattamento fondata su un fattore specifico come quelli elencati disposizione richiamata.
Nel caso specifico, dall’articolo 2, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2011/16 modificata risulta che, in sostanza, l’obbligo di comunicazione previsto all’articolo 8-bis-ter, paragrafi 1, 6 e 7, della direttiva si applica a tutti i tipi di imposte riscosse da uno Stato membro e dalle sue entità territoriali o amministrative, ma non all’Iva e ai dazi doganali né alle accise contemplate da altre normative dell’Unione relative alla cooperazione amministrativa tra Stati membri
Occorre ricordare – continuano i giudici comunitari – che l’obbligo in questione si inserisce nell’ambito dell’attuazione di una cooperazione fiscale internazionale per la lotta contro la pianificazione fiscale aggressiva, che si concretizza in uno scambio di informazioni tra Stati membri. Quindi, il criterio di riferimento alla luce del quale, nel caso in esame, deve essere valutata l’esistenza di un’eventuale violazione del principio di parità di trattamento nella misura in cui la direttiva 2011/16 modificata non limita l’obbligo di comunicazione dei meccanismi transfrontalieri alle sole imposte sulle società, ma lo rende applicabile a tutte le imposte diverse dall’Iva, dai dazi doganali e dalle accise, è quello del rischio di pianificazione fiscale aggressiva nonché di elusione ed evasione fiscali.
Ebbene, secondo la Corte di giustizia, nulla nel caso specifico consente di concludere che le pratiche di pianificazione fiscale aggressiva possano essere attuate solo nel settore dell’imposta sulle società, a esclusione del settore delle altre imposte dirette, come, ad esempio, l’imposta sul reddito applicabile alle persone fisiche, e del settore delle imposte indirette che, a differenza dell’Iva, dei dazi doganali e delle accise esclusi dall’ambito di applicazione della direttiva 2011/16 modificata, non sono oggetto, al pari di questi tre tipi di imposte indirette, di normative specifiche dell’Unione nel cui ambito l’obiettivo della lotta contro simili pratiche può, eventualmente, essere più specificamente garantito.
In tali circostanze, risulta che i diversi tipi di imposte soggetti all’obbligo di comunicazione previsto dalla direttiva 2011/16 modificata rientrano in situazioni comparabili alla luce degli obiettivi perseguiti da tale direttiva nel settore della lotta contro la pianificazione fiscale aggressiva e contro l’elusione ed evasione fiscali nel mercato interno e che un simile assoggettamento, in un settore nel quale il legislatore dell’Unione dispone di un ampio potere discrezionale nell’esercizio delle competenze che gli sono conferite, non presenta un carattere manifestamente inadeguato rispetto a detti obiettivi.
In definitiva, secondo la Corte, dal punto di vista descritto non è emerso alcun elemento tale da inficiare la validità della direttiva 2011/16 modificata alla luce dei principi di parità di trattamento e di non discriminazione nonché degli articoli 20 e 21 della Carta.
Chiarezza e precisione dell’obbligo di comunicazione
Nello scrutinare la seconda e la terza questione pregiudiziale, la Corte di giustizia osserva che il principio di certezza del diritto esige, da un lato, che le norme di diritto siano chiare e precise e, dall’altro, che la loro applicazione sia prevedibile per i singoli, in particolare quando esse possono avere conseguenze sfavorevoli. Per quanto riguarda il principio di legalità in materia penale, poi, sebbene la direttiva 2011/16 modificata non fissi direttamente alcuna penalità per la violazione dell’obbligo di comunicazione, l’articolo 25 della stessa prevede, al riguardo, che gli Stati membri debbano determinare sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive, vale a dire in grado di rivestire carattere penale.
In tale misura, un’eventuale mancanza di chiarezza o di precisione delle nozioni e dei termini sui quali vertono le questioni seconda e terza, nozioni e termini che determinano i comportamenti di cui è richiesto il rispetto, pena l’imposizione di simili sanzioni, può ledere il principio di legalità in materia penale.
Tuttavia, dopo una serie di ampie e articolate valutazioni circa la normativa e la giurisprudenza di riferimento, la Corte ritiene che non emerga alcun elemento tale da mettere in discussione la validità della direttiva 2011/16 modificata, alla luce del principio di certezza del diritto, del principio di legalità in materia penale sancito all’articolo 49, paragrafo 1, della Carta e del diritto al rispetto della vita privata garantito dall’articolo 7 della Carta.
Comunicazioni fra avvocati e clienti
Nell’esaminare la quarta questione pregiudiziale, la Corte di Lussemburgo premette che l’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali Ue, che riconosce a ogni persona il diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle proprie comunicazioni, corrisponde all’articolo 8, paragrafo 1 Cedu, che tutela la riservatezza di ogni scambio di corrispondenza tra individui e concede una tutela rafforzata alle comunicazioni tra gli avvocati e i loro clienti.
Al pari di detta disposizione, la cui tutela copre non solo l’attività di difesa, ma altresì la consulenza legale, l’articolo 7 della Carta garantisce necessariamente la segretezza di tale consulenza giuridica, e ciò tanto riguardo al suo contenuto quanto alla sua esistenza.
Secondo la giurisprudenza europea, del resto, la riservatezza del rapporto tra l’avvocato e il suo cliente beneficia di una tutela del tutto specifica, attinente alla peculiare posizione occupata dall’avvocato nell’ambito dell’organizzazione giudiziaria degli Stati membri nonché al compito fondamentale che gli è affidato e riconosciuto da tutti gli Stati membri. È alla luce di tali considerazioni che la Corte, nella sentenza dell’8 dicembre 2022, resa nella causa C-694/2020, ha ritenuto che l’obbligo di notifica, quando è imposto all’avvocato, violi l’articolo 7 della Carta.
In ogni caso, secondo la Corte di giustizia, la soluzione elaborata nel deliberato da ultimo richiamato, per quanto riguarda gli avvocati, può estendersi solo alle persone che esercitano le loro attività professionali con uno dei titoli professionali menzionati all’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 98/5.
Diversamente, per quanto riguarda gli altri professionisti che, pur essendo eventualmente abilitati dagli Stati membri ad assicurare la rappresentanza in giudizio, non rispondono alle caratteristiche su richiamate, come, ad esempio, i professori universitari in alcuni Stati membri, nulla consente di concludere nel senso dell’invalidità dell’articolo 8-bis-ter, paragrafo 5, della direttiva 2011/16 modificata, nei confronti dell’articolo 7 della Carta, in quanto l’obbligo di notifica, qualora sia sostituito dallo Stato membro all’obbligo di comunicazione, comporta che l’esistenza del rapporto di consulenza tra l’intermediario notificante e il suo cliente sia portata a conoscenza dell’intermediario notificato e, in definitiva, dell’Amministrazione fiscale.
Disposizioni Ue e rispetto della vita privata
Nello scrutinare la quinta questione pregiudiziale, la Corte di giustizia si interroga se sussista un’eventuale violazione, da parte dell’obbligo di comunicazione, del diritto alla tutela della vita privata derivante, in sostanza, dal fatto che l’obbligo di comunicazione di un meccanismo che persegue sì un vantaggio fiscale, ma in modo legale e non abusivo, limiterebbe la libertà del contribuente di scegliere, e quella dell’intermediario di elaborare e di consigliargli, la via fiscale meno tassata.
Ebbene, alla luce della giurisprudenza europea, disposizioni che impongono o consentono la comunicazione di dati personali quali il nome, il luogo di residenza o le risorse finanziarie di persone fisiche a un’autorità pubblica devono essere qualificate, in assenza del consenso delle stesse persone fisiche e a prescindere dal successivo utilizzo dei dati in questione, come ingerenze nella loro vita privata e, pertanto, come limitazione del diritto garantito all’articolo 7 della Carta, fatta salva la loro eventuale giustificazione.
Nel caso in commento, osservano i togati comunitari, la libertà degli operatori economici di organizzare le loro attività in modo da limitare il loro carico fiscale è riflessa, in particolare, al considerando 11 della direttiva 2016/1164, il quale afferma sostanzialmente che, pur essendo opportuno applicare clausole antiabuso generali all’interno dell’Unione alle costruzioni non genuine, in caso contrario il contribuente deve avere il diritto di scegliere la struttura più vantaggiosa sul piano fiscale per i suoi affari commerciali. Inoltre, l’oggetto della comunicazione di cui trattasi è consentire alle amministrazioni fiscali e ai legislatori nazionali di reagire rapidamente alle differenze tra le legislazioni nazionali o alle lacune normative, le quali sono spesso all’origine dell’elaborazione di meccanismi fiscali transfrontalieri volti a ridurre l’onere fiscale dei contribuenti.
Del resto, l’obbligo di comunicazione in questione implica la rivelazione all’Amministrazione fiscale, unitamente ai dati identificativi delle persone coinvolte, di informazioni sul meccanismo transfrontaliero in argomento. Tali informazioni, che possono essere dedotte dall’articolo 8-bis-ter, paragrafo 14, della direttiva 2011/16 modificata, contengono, in particolare, un riassunto del contenuto di tale meccanismo e informazioni sulle disposizioni nazionali sulle quali si basa tale sistema. Così facendo, l’obbligo previsto costituisce, in quanto tale, un’ingerenza nel diritto al rispetto della vita privata e delle comunicazioni, che porta a rivelare all’Amministrazione il risultato di lavori di elaborazione e di ingegneria fiscale, condotti, nel contesto di attività personali, professionali o commerciali, dal contribuente stesso o, nella maggior parte dei casi, da uno o più intermediari ai sensi dell’articolo 3, punto 21, della direttiva.
Pertanto, secondo la Corte, detto adempimento, in quanto fornisce alle amministrazioni fiscali lo strumento per rimediare rapidamente alle disparità e alle lacune normative che sono alla base dei meccanismi transfrontalieri, è tale da ridurre l’interesse, per i contribuenti, a ricorrere a meccanismi fiscali la cui durata utile di impiego da parte loro può risultarne ridotta in ugual misura.
Lo stesso obbligo è, quindi, idoneo a dissuadere sia detti contribuenti sia i loro consulenti dall’elaborare e dall’attuare meccanismi di pianificazione fiscale transfrontaliera che, pur essendo legittimi, sono basati su disparità esistenti tra le diverse normative nazionali applicabili.
Ne consegue che l’obbligo di comunicazione, nella parte in cui riguarda, in particolare, simili meccanismi, comporta una limitazione della libertà, per i contribuenti e gli intermediari, di organizzare le loro attività personali, professionali e commerciali e costituisce, pertanto, un’ingerenza nel diritto al rispetto della vita privata garantito dall’articolo 7 della Carta.
Si pone, allora, la questione di stabilire se tale ingerenza possa essere giustificata.
Sul punto, gli eurogiudici ricordano che le limitazioni ai diritti, sono possibili, purché siano previste dalla legge, rispettino il contenuto essenziale di detti diritti e, in ottemperanza al principio di proporzionalità, siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui.
Ebbene, il paragrafo 1, l’articolo 8-bis-ter più volte richiamato prevede espressamente che gli Stati membri adottino le misure necessarie per imporre agli intermediari la comunicazione alle autorità competenti di “informazioni sui meccanismi transfrontalieri soggetti all’obbligo di notifica di cui sono a conoscenza, che sono in loro possesso o di cui hanno controllo”. In assenza di un intermediario tenuto all’obbligo di comunicazione, tale obbligo incombe al contribuente pertinente, ai sensi del paragrafo 6 della stessa disposizione. Quindi, il requisito secondo cui la limitazione dell’esercizio dei diritti fondamentali deve essere prevista dalla legge è soddisfatto.
Inoltre, per quanto riguarda il requisito relativo alla tutela del contenuto essenziale del diritto al rispetto della vita privata, garantito dall’articolo 7 della Carta, occorre rilevare che un obbligo come quello di cui ai procedimenti principali, che verte unicamente sulla comunicazione di dati che rivelano l’elaborazione e l’attuazione di un meccanismo fiscale potenzialmente aggressivo senza neppure incidere direttamente sulla possibilità né di una simile elaborazione né di una simile attuazione, non può essere ritenuto lesivo dell’essenza del diritto al rispetto della vita privata degli interessati.
Ciò posto – continua la Corte – la lotta contro la pianificazione fiscale aggressiva e la prevenzione dei rischi di elusione ed evasione fiscali rappresentano finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione, tali da consentire che sia apportata una limitazione all’esercizio dei diritti garantiti dall’articolo 7 di quest’ultima.
In definitiva, le informazioni da fornire non appaiono andare al di là di quanto è strettamente necessario per consentire agli Stati membri di avere una comprensione sufficiente del meccanismo transfrontaliero in questione e di poter agire rapidamente, sulla sola base di tali informazioni comunicate o contattando gli intermediari o i contribuenti pertinenti al fine di ottenere informazioni supplementari.
Infine, per quanto riguarda la questione di stabilire se l’ingerenza nel diritto alla protezione della vita privata che comporta l’obbligo di comunicazione non sia sproporzionata né smisurata rispetto all’obiettivo di interesse generale perseguito, la Corte di giustizia conclude rilevando che, sebbene tale ingerenza non sia certamente trascurabile, la lotta contro la pianificazione fiscale aggressiva e la prevenzione dei rischi di elusione e di evasione fiscali costituiscono obiettivi importanti, dal cui perseguimento dipendono non solo la protezione della base imponibile e, quindi, delle entrate fiscali degli Stati membri e la creazione di un ambiente fiscale equo nel mercato interno, ma anche la salvaguardia della ripartizione equilibrata del potere impositivo degli Stati membri e della riscossione efficace dell’imposta, che la Corte ha dichiarato costituire obiettivi legittimi.
Dunque, il fatto che l’obbligo di comunicazione possa, se del caso, applicarsi a meccanismi transfrontalieri legali, non consente di ritenere che questo sia sproporzionato né nei confronti del contribuente che beneficia del meccanismo in questione né dell’intermediario che lo ha elaborato.
Conclusioni
In definitiva gli eurogiudici concludono che:
- dall’esame dell’aspetto su cui verte la prima questione pregiudiziale non è emerso alcun elemento tale da inficiare la validità della direttiva 2011/16, relativa alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale e che abroga la direttiva 77/799/Cee, come modificata dalla direttiva (Ue) 2018/822 del Consiglio, del 25 maggio 2018, alla luce dei principi di parità di trattamento e di non discriminazione nonché degli articoli 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali Ue
- dall’esame degli aspetti su cui vertono le questioni pregiudiziali seconda e terza non è emerso alcun elemento tale da inficiare la validità della direttiva 2011/16, come modificata dalla direttiva 2018/822, alla luce del principio di certezza del diritto, del principio di legalità in materia penale sancito all’articolo 49, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali e del diritto al rispetto della vita privata garantito dall’articolo 7 di tale Carta
- l’invalidità dell’articolo 8-bis-ter, paragrafo 5, della direttiva 2011/16 come modificata dalla direttiva 2018/822, alla luce dell’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali, pronunciata dalla Corte nella sentenza dell’8 dicembre 2022, Orde van Vlaamse Balies e a. (C‑694/20, Eu:C:2022:963), vale soltanto nei confronti delle persone che esercitano le loro attività professionali con uno dei titoli professionali menzionati all’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 98/5/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 1998, volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica.
- dall’esame degli aspetti su cui verte la quinta questione pregiudiziale non è emerso alcun elemento tale da inficiare la validità della direttiva 2011/16, come modificata dalla direttiva 2018/822, alla luce del diritto al rispetto della vita privata garantito dall’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali.