Attacco Ucraino in Russia, il punto editoriale

di Francesco Proia
EDITORIALE – A pochi giorni dall’inizio dell’incursione ucraina in terra russa, possiamo iniziare a tirare le somme di ciò che sta accadendo.
Versione breve per chi non ha tempo di leggere tutto: molti trattati di guerra dovranno essere riscritti.
La storia di Davide contro Golia affascina da sempre l’uomo. Il piccolo che sconfigge il gigante, è qualcosa che da sempre fa sognare tutti i popoli che, negli ultimi millenni, hanno dovuto sopportare angherie e soprusi di invasori e prepotenti. Ma con l’incursione nell’oblast di Kursk, guidata magistralmente dal comandante ucraino Oleksandr Syrs’kyj, gli ucraini sono andati decisamente oltre, scrivendo una pagina importante che è già entrata di diritto nei manuali di guerra.
Per la prima volta dopo la seconda guerra mondiale un esercito nemico è riuscito a mettere i propri stivali sul suolo russo, che ricordiamolo è una potenza atomica di prim’ordine. Qualcuno paragona l’operazione ucraina alla Blitzkrieg, la famosa guerra lampo ideata dall’esercito tedesco durante la seconda guerra mondiale, e forse non hanno tutti i torti visto che in poche ore l’Ucraina ha conquistato qualcosa come 500 km quadrati, il doppio di quelli conquistati dalla Russia in Ucraina, ma dopo due anni e mezzo di guerra e con il costo umano di centinaia di migliaia di morti e attrezzature distrutte.
Ma perché l’operazione militare orchestrata da Kyev è da manuale?
Finora i russi hanno spedito la maggior parte dei coscritti al fronte, forti del fatto che l’occidente aveva vietato a Kyev l’uso di armi occidentali su suolo russo. E così la Russia, che dopo due anni di guerra e centinaia di migliaia di morti, con una “coperta” sempre più corta (ricordiamo che Putin continua a non voler passare alla coscrizione obbligatoria per la paura di rivolte interne), pian piano aveva ritirato tutti i suoi soldati al confine, soprattutto quelli confinanti con le nazioni NATO, per spedirli nei punti più caldi del fronte. Questo ha comportato che anche nei 1500 km di confine con l’Ucraina, molti erano rimasti pressoché sguarniti. E qui entra in scena il nuovo paradigma di guerra ideato dagli ucraini: se Maometto non va dalla montagna, la montagna va da Maometto. Individuato il punto meno protetto ci si sono infilati, e davanti a loro hanno trovato effettivamente la strada spianata.
Qual è stata la reazione di Mosca? Pur di fermare l’avanzata ucraina in primo luogo hanno bombardato i propri territori con missili dotati di munizioni a grappolo, qualcosa che ha dell’assurdo sia dal punto di vista militare che umano. Poi ha inviato un lungo convoglio di rinforzi costituito prevalentemente da polizia transfrontaliera, che però è servito a poco perché nel giro di poche ore è stato distrutto dalle più esperte brigate ucraine. Risultato? L’Ucraina continua ad avanzare sul suolo russo, quasi indisturbata, conquistando decine di villaggi e avvicinandosi ad obiettivi strategici importantissimi.
Ma a questo punto ci si chiede: qual è il motivo dell’invasione? Escludiamo a priori quello di conquistare la Russia, perché gli ucraini (a differenza di Putin e dei suoi tirapiedi) sanno bene che un conto è penetrare in territorio nemico, un altro è tenere posizioni e territori. Essenzialmente sono cinque i vantaggi a cui forse (il condizionale è d’obbligo visto che l’operazione militare è ancora in svolgimento) puntano gli ucraini.
1) alleggerire la pressione al fronte visto che la Russia, per riconquistare quei territori, dovrà spedire risorse che inevitabilmente verranno tolte dalle zone calde. E lì, a quel punto, gli ucraini potranno tentare di riprendersi i loro territori con più facilità.
2) conquistare più prigionieri di guerra possibile. In pochi giorni, infatti, sono stati fatti più di mille prigionieri, che sicuramente gli ucraini utilizzeranno come merce di scambio per riavere indietro i propri soldati.
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3) conquistare più territori possibili in quella zona cuscinetto, in modo da avere maggiore potere contrattuale su eventuali negoziati futuri, cosa che finora non era stata minimamente messa in conto.
4) distruzione e messa fuori uso di infrastrutture energetiche, come il gasdotto di Sudzhe, o la centrale nucleare di Kursk, una delle più grandi della Russia, che una volta scollegata dalla rete lascerà senza corrente molte zone del sud del paese. Ma anche strutture militari, come l’aeroporto della regione di Lipetsk, che è anche uno dei più grandi centri di addestramento della Federazione Russa, dove al momento dell’attacco ucraino erano presenti decine di (costosissimi) caccia Su-34, Su-35 e MiG-31 delle forze aerospaziali nemiche, oltre ad almeno 700 bombe aeree guidate. Oppure prendere il controllo o sabotare lo snodo ferroviario di Kursk, uno dei più importanti del paese, punto chiave per la logistica delle linee russe al fronte.
5) infine, cosa non da poco, minare la credibilità di Putin, che non può più garantire la sicurezza del proprio popolo, e che con questa mossa a sorpresa dopo più di due anni non solo non ha raggiunto nessuno dei suoi obiettivi, ma di fatto si ritrova persino la guerra in casa. E Putin a quanto pare è terrorizzato del fatto che qualcuno (soprattutto tra gli oligarchi) possa vedere incrinata la sua immagine di uomo forte, tant’è vero che ha già dato un’ulteriore stretta ai social network ed emesso l’ordinanza che vieta ai suoi soldati di usare i cellulari al fronte. Al momento la paura più grossa per Putin è che questa incursione possa essere ripetuta anche altrove, con risultati simili o addirittura più devastanti, che potrebbero mettere ancora più in difficoltà la sua posizione. Tutto questo mentre Kamala Harris continua a salire nei sondaggi, il senato USA ha appena approvato il 63esimo pacchetto di aiuti all’Ucraina, il primo squadrone di F16 protegge i cieli ucraini (e altre decine arriveranno a breve) e gli USA hanno dato il via libera all’uso degli ATACMS sul suolo russo…

 

 

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