Il contratto d’appalto certificato non vincola il giudice tributario

La riqualificazione fiscale dell’operazione economica sottostante come somministrazione irregolare di manodopera non è subordinata all’impugnazione secondo giustizia ordinaria

In ipotesi di riqualificazione, da parte del Fisco, di un contratto di appalto di servizi, certificato secondo la legislazione giuslavoristica, in somministrazione illecita di manodopera il giudice tributario, nella propria decisione, non è vincolato da tale legislazione relativa alla certificazione dei contratti (Dlgs n. 276/2003), che opera solo sul piano civilistico e non anche ai fini fiscali della corretta qualificazione del rapporto giuridico controverso sottostante l’obbligazione tributaria.

Questo, in sintesi, è l’innovativo principio di diritto stabilito dalla Corte di cassazione, con la recente ordinanza n. 20421 del 23 luglio 2024.

Il caso
La controversia decisa dai giudici di legittimità trae origine dalla proposizione, da parte dell’Agenzia delle entrate, di un articolato ricorso per cassazione avverso una sentenza della Commissione tributaria regionale, ora Corte di giustizia tributaria di secondo grado, dell’Emilia Romagna.

In particolare, la Ctr emiliana aveva accolto l’appello proposto da una società di capitali, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale (ora Corte di giustizia tributaria di primo grado) di Modena, di rigetto di un ricorso introduttivo riguardante l’impugnativa di un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate, relativo a imposte dirette e Iva e relative sanzioni per l’anno di imposta 2015.

L’atto impositivo originava da due contratti d’appalto stipulati dalla società con due cooperative di autotrasporti e riqualificati, dall’Agenzia, come di somministrazione irregolare di manodopera, in ragione della rilevata assenza di autonomia organizzativa, nonché della riscontrata mancata assunzione del rischio di impresa. L’Amministrazione finanziaria riteneva che le prestazioni fatturate andassero qualificate come riferite a un mero rimborso dei costi relativi al personale impiegato dalle cooperative, e non fossero soggette a Iva per mancanza del presupposto oggettivo di imposta (articolo 3, Dpr n. 633/1972). Venivano, quindi, recuperate a tassazione le deduzioni, dalla base imponibile Irap, dei costi per il personale, fittiziamente configurati quali prestazioni di servizi, nonché la detrazione della relativa Iva.

Il giudice tributario di primo grado rigettava il ricorso proposto dalla società, ritenendo legittimi i recuperi a tassazione, decisione poi riformata dal giudice d’appello. In buona sostanza, la Commissione tributaria emiliana affermava che la questione principale riguardava la sindacabilità o meno, del contratto d’appalto certificato ai sensi degli articoli 75 e seguenti del Dlgs. n. 276/2003, il quale spiegava effetti verso i terzi, tra cui anche l’Amministrazione finanziaria, che aveva l’onere di impugnare la certificazione davanti al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro, sia ai fini della corretta qualificazione giuridica sia ai fini di accertare l’eventuale difformità tra l’oggetto del contratto e la sua esecuzione. Adempimento, a parere della Ctr, non compiuto dall’Agenzia delle entrate nel caso concreto. Il giudice tributario di secondo grado bolognese annullava così l’avviso di accertamento.

Avverso la sentenza d’appello, proponeva un articolato ricorso per cassazione l’Amministrazione finanziaria, cui replicava la società con controricorso.

Le motivazioni dell’ordinanza
Nella parte motivazionale del proprio arresto giurisprudenziale, i giudici di legittimità hanno ritenuto del tutto fondato e meritevole, quindi, di essere accolto, il ricorso per cassazione presentato dall’Agenzia.

In particolare, la suprema Corte, nel pervenire alle proprie determinazioni conclusive, ha compiuto puntuali e utili precisazioni giuridiche relative a quattro significativi profili fiscali e giuridici:

  1. sull’eccezione sollevata dalla controricorrente di inammissibilità del ricorso per cassazione, per una presunta assenza di esposizione sommaria dei fatti oggetto del giudizio tributario nel ricorso per cassazione presentato dall’Agenzia
  2. sul potere-dovere del giudice tributario di qualificare correttamente il rapporto impositivo e sulla valenza non vincolante che ha, ai fini fiscali, l’istituto giuridico della certificazione dei contratti prevista dalla normativa giuslavoristica vigente
  3. sull’armonia dell’interpretazione raggiunta dalla Corte di legittimità, con la recente giurisprudenza comunitaria in materia di Iva e con il sistema processuale tributario vigente.

La presunta inammissibilità del ricorso
In primo luogo, i supremi giudici hanno dato atto dell’eccezione, sollevata dalla società controricorrente, di inammissibilità del ricorso per cassazione presentato dal Fisco, per una presunta assenza di esposizione sommaria dei fatti oggetto del processo.

A tale proposito hanno, poi, puntualmente evidenziato che tale eccezione non può essere accolta, dal momento che la lettura del ricorso per cassazione permette un’esatta identificazione della pretesa impositiva, incluse le ragioni che hanno determinato l’Agenzia delle entrate a riqualificare i contratti di appalto in illecita somministrazione di manodopera; e si tratta a tale riguardo, essenzialmente, della rilevata assenza di autonomia organizzativa, nonché della riscontrata mancata assunzione del rischio di impresa.

Il potere-dovere del giudice tributario di qualificare correttamente il rapporto impositivo
In secondo luogo, i giudici di piazza Cavour hanno osservato, che con il primo motivo di ricorso per cassazione, la ricorrente Agenzia prospetta violazione e falsa applicazione degli articoli 75,78, 79 e 80 del Dlgs. n. 276/2003, laddove la decisione impugnata esclude l’autonoma riqualificazione del contratto certificato da parte dell’Amministrazione finanziaria, in assenza di attivazione delle speciali procedure previste dalla “legge Biagi”.

A tale proposito, la suprema Corte ha sottolineato, che ai fini della ricostruzione della fattispecie, il Collegio di legittimità rammenta in linea generale il potere-dovere in capo al Giudice (cfr Cassazione n. 5253/2021) di dare una qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite, nonché all’azione esercitata in causa, ricercando, a tal fine, le norme giuridiche applicabili alla vicenda descritta in giudizio e ponendo a fondamento della sua decisione disposizioni e principi di diritto eventualmente anche diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti (cfr Cassazione. n. 29334/2023), con il solo limite dell’immutazione della fattispecie.

Sempre secondo la Cassazione, scendendo ancor più nello specifico delle considerazioni giuridiche svolte, è del tutto evidente il potere del giudice tributario di qualificare correttamente il rapporto impositivo, sotto il profilo giuridico, che si risolve nella esatta applicazione della legge, sicché non tollera limitazioni, così come non deve essere specificamente previsto, proprio perché è un connotato dell’esercizio della giurisdizione. Per la suprema Corte, il giudice tributario è, dunque, investito dal potere-dovere di qualificare il rapporto dedotto in giudizio, eventualmente anche in modo diverso rispetto a quanto prospettato dalle parti, entro il perimetro della domanda, ossia purché non introduca nel tema controverso nuovi elementi di fatto, lasci inalterati il petitum e la causa petendi ed eserciti tale potere-dovere nell’ambito delle questioni.

Sulla base di tali premesse, la Corte di cassazione, nell’ordinanza in esame, ha chiarito che “… il Collegio ritiene che il quadro normativo sopra ricostruito non abbia inteso introdurre una deroga ai poteri ordinari del giudice tributario di qualificazione del rapporto controverso inerente all’obbligazione tributaria …”. E affermato, in linea con l’attuale di riferimento, che “…tanto si desume sia dall’interpretazione letterale della legge sia da una lettura sistemica e topografica delle singole previsioni sopra riassunte, tutte incentrate sulla qualificazione del contratto di lavoro ai fini civili e sul ruolo del giudice ordinario ai fini dell’eventuale impugnazione della certificazione, né vi è traccia di riferimenti al rapporto tributario e al giudice tributario nella legge delega 14 febbraio 2003, n. 30, dettata specificamente in materia di occupazione e mercato del lavoro. Un piano è quello della qualificazione civilistica del contratto, in questo caso di appalto, oggetto di certificazione e di azione presso il giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro individuato ex art. 413 cod. proc. civ., i cui effetti sono regolati dal d.lgs. n. 276/2003 per espressa ratio legis. Altro piano riguarda l’obbligazione tributaria, di diritto pubblico, e la qualificazione dell’opera-zione economica sottostante e la pronuncia sull’obbligazione tributaria generata. Della questione il giudice tributario è pienamente investito, dovendo tener conto della certificazione in quanto fatto dedotto del processo ed elemento che compone il quadro probatorio complessivo, ma senza essere vincolato in punto di qualificazione del rapporto dagli artt.75 e ss. d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276. Infatti, il complesso normativo suddetto ha rilevanza ai diversi fini della qualificazione civilista del contratto e della deflazione del contezioso civile, non ha anche efficacia vincolante ai fini della determinazione del rapporto tributario, la cui qualificazione può avvenire anche sulla base dell’esecuzione del contratto al di là delle espressioni formali usate dalle parti …”.

Sull’armonia della decisione con la giurisprudenza comunitaria sull’Iva…
La Corte di cassazione, per ulteriormente suffragare sul piano giurisprudenziale le proprie determinazioni conclusive, ha altresì evidenziato anche che “… ciò è si desume anche, in chiave eurounitaria, dall’elaborazione giurisprudenziale che fa riferimento all’imposta armonizzata, considerato che la Corte di Giustizia UE costantemente afferma (cfr. ad es. 11 dicembre 2014 nella causa C-590/13) che il diritto alla detrazione deve poggiare su requisiti di carattere sostanziale, da verificarsi nel caso concreto tramite il sindacato del giudice. In definitiva, quindi, secondo la Suprema Corte la nuova norma sulla prova, introdotta con la recente riforma del processo tributario, non ha effetti in materia di fatture soggettivamente inesistenti. Con specifico riferimento alla legittimità del trattamento Iva del distacco di personale secondo la legislazione italiana, sollevata dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza interlocutoria n. 2385/2019, la Corte di Giustizia (sentenza 11 marzo 2020 in causa C-94/19, San Domenico Vetraria) ha affermato che il punto cruciale è l’interpre-tazione della causa, per definire se prestazione e pagamento si condizionino reciprocamente. Dunque, la certificazione civilistica sulla base del d.lgs. n. 276/2003 non può precludere l’esercizio del potere-dovere di qualificazione dell’operazione economica sottesa da parte del giudice tributario…”.

… e con il sistema processuale tributario vigente
Nella parte conclusiva della motivazione della propria ordinanza, la Cassazione ha, poi, puntualmente chiarito che “…l’interpretazione qui accolta sul piano sostanziale è anche pienamente coerente, sul piano processuale, con la previsione dell’art. 2 comma 3 del d.lgs. n. 546/1992 specificamente dettata per il processo tributario, il quale dispone che il giudice deve risolvere in via incidentale ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella propria giurisdizione, fatta la sola eccezione in favore dell’AGO per le questioni in materia di querela di falso e sullo stato o la capacità delle persone, diversa dalla capacità distare in giudizio. Questa previsione non comporta l’abrogazione implicita, né l’inefficacia della previsione della certificazione sopra descritta, dal momento che la certificazione del contratto resta valida ed efficace sul piano civile, né si limita ad opera sul piano processuale anziché sostanziale, poiché investe il potere-dovere del giudice tributario di pronunciarsi sul rapporto qualificandolo. Al tempo stesso, l’interpretazione fatta propria dal Collegio rispetta i limiti che l’art. 2 comma 3 del d.lgs. n.546/1992 traccia ai poteri del giudice tributario e al suo rapporto con il giudice ordinario…”.

Il principio di diritto
Alla fine dell’ordinanza n. 20421, del 23 luglio 2024, la suprema Corte ha, quindi, affermato il seguente innovativo e chiaro principio di diritto: “L’esercizio del potere-dovere del giudice tributario di qualificare l’operazione economica sottostante il contratto, anche sulla base dell’esecuzione dello stesso, e di pronunciarsi sull’obbligazione tributaria instauratasi al verificatesi di un atto o fatto rilevatore di capacità contributiva ex art. 53 Cost., non è precluso dalla certificazione del contratto di cui agli artt. 75 e ss. del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 e dalla mancata impugnazione di tale certificazione davanti al giu-dice ordinario in funzione di giudice del lavoro”.

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