L’aliquota Iva ridotta al 4% si applica alle prestazioni sociosanitarie e non a quelle considerate di “supporto”, come i servizi di guardaroba, lavanderia, trasporti, centralino e portineria, anche se erogati contestualmente, dovendo sussistere specifici requisiti. È quanto stabilito dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Emilia Romagna con la sentenza 763/14/2024 del 2 settembre 2024.
I fatti
La direzione provinciale dell’Agenzia delle entrate di Modena ha effettuato un controllo, a carico di una società cooperativa sociale, per l’anno 2012, relativo alla corretta applicazione delle aliquote ridotte per le prestazioni propriamente sociosanitarie e per quelle considerate di “supporto” alle precedenti. In particolare, la società aveva eseguito, a favore di alcune case di riposo per anziani (Rsa), talune prestazioni, che erano poi state “aggregate”, dalle stesse case di riposo, ai servizi ricevuti anche da altri operatori economici, per fornire una prestazione unitaria ai clienti/ospiti. Le prestazioni fornite dalla cooperativa sociale alle Rsa si erano sostanziate in due categorie:
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prestazioni tipicamente sociosanitarie, come quelle rese da operatori sociosanitari che svolgono attività indirizzata a soddisfare i bisogni primari della persona, ovvero dal responsabile delle attività assistenziali
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prestazioni di supporto alle precedenti, come i servizi di manutenzione e di lavanderia, nonché i servizi resi dalla parrucchiera e dall’autista.
Per quanto concerne l’applicazione dell’aliquota ridotta, è da tenere presente che – per il 2012 – il n. 41-bis, della tabella A, parte II allegata al Dpr n. 633/1972 prevedeva l’applicazione dell’aliquota del 4% per le “prestazioni sociosanitarie, educative, comprese quelle di assistenza domiciliare o ambulatoriale o in comunità e simili, ovunque rese, in favore degli anziani ed inabili adulti, di tossicodipendenti e malati di AIDS, degli handicappati psicofisici, dei minori, anche coinvolti in situazione di disadattamento e di devianza, rese da cooperative e loro consorzi, sia direttamente che in esecuzione di contratti di appalto e di convenzioni in generale”.
L’articolo 1, comma 331 della legge n. 296/2006 (la Finanziaria 2007), aveva poi stabilito che l’aliquota ridotta risultava applicabile anche alle prestazioni di cui ai nn. 18, 19, 20, 21 e 27-ter dell’articolo 10 del Dpr n. 633/1972, rese in favore dei soggetti indicati al medesimo articolo 41-bis da cooperative e loro consorzi sia direttamente, sia in esecuzione di contratti di appalto e di convenzioni in genere.
La società, quindi, aveva applicato l’aliquota del 4% a tutte le prestazioni effettuate, ritenendo conferente la previsione di cui al n. 21 dell’articolo 10, il quale prende in esame, “le prestazioni proprie dei brefotrofi, orfanotrofi, asili, case di riposo per anziani e simili, delle colonie marine, montane e campestri e degli alberghi e ostelli per la gioventù di cui alla L. 21 marzo 1958, n. 326, comprese le somministrazioni di vitto, indumenti e medicinali, le prestazioni curative e le altre prestazioni accessorie”. L’ufficio ha, però, contestato l’applicazione dell’aliquota ridotta ad alcune prestazioni, in considerazione di una serie di fattori.
Come prima evidenziato, le prestazioni per le quali è stata contestata l’applicazione dell’aliquota ridotta sono relative ad attività diverse da quelle tipicamente sociosanitarie. Sono, infatti, attività definibili di “supporto”. È poi rilevante sottolineare che le prestazioni non sono rese con un contratto di “global service”. Ciò significa che in una stessa struttura può essere presente non solo la società, ma anche altri operatori, ognuno dei quali rende le sue prestazioni. Inoltre, è necessario considerare che le prestazioni non erano fatturate direttamente ai consumatori finali, ma ai soggetti che gestivano le varie strutture, che quindi addebitavano un corrispettivo totale agli ospiti delle case di riposo.
Vi era quindi:
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un primo ciclo di fatturazione dalla cooperativa e dalle altre società verso le Rsa
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un secondo ciclo di fatturazione dalle Rsa verso i clienti/pazienti. Considerato che il servizio fornito era totale, anche il corrispettivo era omnicomprensivo.
La Dp Entrate di Modena ha, dunque, recuperato l’Iva ad aliquota ordinaria per le prestazioni di “supporto”, fornite dalla società alle Rsa, per le quali era stata applicata l’aliquota Iva del 4 per cento.
Il giudizio di primo grado
La società aveva, quindi, presentato ricorso presso la Ctp di Modena, con il quale, tra le varie doglianze, aveva evidenziato la supremazia della direttiva Ce n. 112/2006 rispetto alle norme interne. Secondo la ricorrente, dunque, siccome le norme comunitarie stabilivano che la società aveva operato in maniera corretta, l’accertamento doveva essere annullato. L’ufficio aveva controdedotto compiendo un’approfondita disamina sia delle norme che della giurisprudenza comunitaria, evidenziando che in realtà queste risultano favorevoli alla propria posizione. L’ufficio, in particolare, sottolineava che:
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le disposizioni sulle aliquote ridotte vanno interpretate restrittivamente (sentenze relative alle cause C-573/15 punti 25 e 32, C-432/15 punti 57, 58 e 59, C-499/16 punti 23 e 24)
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ciascuna prestazione di servizio dev’essere considerata, di regola, come autonoma e indipendente (sentenze relative alle cause C-425/06 punto 50, C-463/16 punto 30, C-41/04 punto 20, C-111/05 punto 22, C-276/09 punto 21, C-432/15 punto 68).
Con la sentenza 224/02/2019 del 30 aprile 2019, la Ctp di Modena ha però accolto il ricorso, compensando le spese “attesa la novità, particolarità e complessità della questione sollevata”.
Il giudizio di secondo grado
Insoddisfatto dell’esito del primo grado, l’ufficio ha presentato appello, esponendo due vizi della sentenza di primo grado:
– motivazione apparente
– errata comprensione dei fatti di causa.
La contestazione della motivazione apparente è stata rigettata dai giudici di secondo grado, che hanno invece ritenuto fondata la doglianza relativa all’errata comprensione dei fatti di causa. Nell’appello, l’ufficio ha ribadito la situazione di fatto e i rapporti tra la società e le Rsa, nonché i rapporti di queste ultime con gli altri prestatori di servizi. Poi, ha rimarcato che la parte, nel ricorso di primo grado, anche se non concordava con il trattamento fiscale, era d’accordo circa la configurazione dei rapporti tra i soggetti coinvolti. L’ufficio, dunque, ha evidenziato quanto segue:
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la società rende le prestazioni ad altri soggetti Iva, che gestiscono case di riposo e strutture similari
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tali soggetti Iva si avvalgono anche di altri prestatori di servizi
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le prestazioni rese dalla società e dagli altri prestatori di servizi possono consistere in attività sociosanitarie vere e proprie o attività di “supporto”
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i soggetti che gestiscono le case di riposo (e strutture similari) ricevono le prestazioni dalla società e dagli altri operatori economici. I servizi ricevuti vengono quindi “aggregati” e utilizzati per fornire un servizio “globale” ai clienti/pazienti delle case di riposo
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la società e gli altri operatori fatturano i propri servizi ai soggetti che gestiscono le case di riposo
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i soggetti che gestiscono le case di riposo (e strutture similari) fatturano ai consumatori/clienti finali.
Nella sentenza di primo grado, però, i giudici avevano pronunciato due statuizioni infondate.
La prima era relativa all’asserita circostanza secondo cui “con l’avviso in epigrafe l’Amministrazione finanziaria, contestando alla esponente, che svolge attività socio assistenziale, l’errata applicazione dell’aliquota IVA del 4% sulle operazioni attive, consistenti nelle ‘prestazioni non sanitarie’ erogate nella gestione delle case di riposo per anziani e segnatamente ad esempio i servizi di lavanderia personale, di guardaroba, di autista, di parrucchiere, di portineria ecc…, accerta una maggiore imposta di euro 253.173,00, oltre interessi e sanzioni”. Tale affermazione è stata però contestata nell’appello, considerato che la società non gestisce case di riposo ma, come ribadito più volte, fornisce servizi ai gestori delle medesime.
La seconda ha riguardato invece la seguente affermazione: “sostiene la ricorrente l’illegittimità della pretesa tributaria, poiché, in buona sostanza, le prestazioni comprese nell’ambito di un contratto di servizi integrato per la gestione globale di una residenza sanitaria assistenziale non siano separabili tra di loro, dovendo, pertanto, essere unitariamente assoggettate all’aliquota agevolata del 4%”.
Anche tale asserzione è stata contestata dall’ufficio nell’appello. Ciò in quanto la parte non ha stipulato alcun contratto di servizi integrato. Le Rsa “aggregano” i servizi ricevuti dalla società e da altri operatori economici per offrire al cliente/paziente un servizio unitario. È quindi in questa fase – che si svolge tra Rsa e clienti/pazienti – che il corrispettivo addebitato è unitario e comprensivo di tutti i servizi prestati.
Con la sentenza 763/14/2024 del 2 settembre 2024, la Cgt di secondo grado dell’Emilia Romagna, con un’ampia e articolata motivazione, ha accolto l’appello dell’ufficio e disposto la compensazione delle spese processuali. I giudici, in particolare, hanno stabilito che:
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per l’applicazione dell’aliquota ridotta “il ricevente la prestazione dev’essere la persona fisica”
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“a favore degli enti gestori erano le prestazioni di manutentore, autista, cuoco e aiuto cuoco, coordinamento e amministrazione, che non possono definirsi accessorie a prestazioni sociosanitarie. Non è infatti sostenibile che qualunque prestazione fornita al gestore di una Rsa sarebbe accessoria alle prestazioni sociosanitarie da questi rese ai suoi ospiti”
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“il legislatore europeo […] ha riguardo al beneficiario della prestazione, che dev’essere il cittadino consumatore finale, e non altro operatore economico che si serva delle prestazioni ricevute per organizzarle e combinarle con altri fattori aziendali, onde fornire prestazioni sociosanitarie nell’ambito della gestione di una RSA o Casa di riposo”.