ROMA – Secondo i giudici della Cassazione, per l’attribuzione della categoria catastale è irrilevante il fatto che il titolare del bene sia un’organizzazione senza scopo di lucro.
Deve considerarsi legittima la classificazione nella categoria catastale D/4 di una casa di cura, anche se posseduta da una Onlus. Il gruppo catastale D, infatti, (immobili a destinazione speciale) riguarda quei fabbricati aventi destinazione industriale e commerciale, non suscettibili di destinazione difforme se non a condizione di radicali trasformazioni. Per l’attribuzione della categoria catastale è decisiva la natura oggettiva dell’immobile mentre è del tutto indifferente la qualifica soggettiva del titolare e il concreto uso del bene (Cassazione, Ordinanza n. 29542 del 15 novembre 2024).
L’Agenzia delle entrate proponeva ricorso in Cassazione contro la sentenza depositata dalla Ctr della Lombardia che aveva ad oggetto l’impugnazione di due avvisi di accertamento con rettifica di classamento e di rendita:
- l’uno in relazione a un fabbricato adibito a casa di cura del quale la “Fondazione Beta” era comproprietaria per la quota di 85/100, a seguito di procedura “DOCFA” in base a denuncia di variazione (all’esito di “fusione, ampliamento, demolizione parziale”) con sostituzione della categoria da B/1 a D/4 e della rendita da € 24.102,90 ad € 119.000,00
- l’altro in relazione a un fabbricato adibito a servizi socio-sanitari-assistenziali del quale la “Gamma S.p.a.” era proprietaria superficiaria (mentre la “Fondazione Alfa Onlus” era proprietaria dell’area di sedime) a seguito di procedura “DOCFA” in base a denuncia di variazione (all’esito di “fusione, ampliamento, demolizione parziale”) con sostituzione della categoria da B/1 a D/4 e della rendita da € 59.926,26 ad € 277.000,00.
La Ctr aveva confermato la decisione di prime cure, che aveva accolto il ricorso originario, sul presupposto che la carenza di finalità lucrativa delle attività svolte (in ragione dell’appartenenza a fondazioni e della copertura pubblica del costo dei servizi erogati) escludesse il classamento dei fabbricati in categoria D/4.
Il ricorso erariale veniva affidato ad un unico motivo con il quale l’Ufficio denunciava violazione di legge per avere, il giudice di appello, ritenuto che l’insussistenza dello scopo di lucro nelle attività svolte dalle contribuenti (con la copertura pubblica del costo dei servizi erogati) giustificasse la classificazione in categoria B/1 (e non in categoria D/4) dei fabbricati adibiti a residenza assistenziale di persone anziane bisognevoli di cure e terapie non effettuabili a domicilio.
La Cassazione ha ritenuto fondata la doglianza sollevata dall’Ufficio richiamando, in via preliminare, il «Regolamento del nuovo catasto edilizio urbano» (articolo 61, Dpr n. 1142/1949) in tema di classamento delle unità immobiliari e richiamando il consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità in base al quale il provvedimento di attribuzione della rendita catastale di un immobile è un atto tributario che afferisce al bene che ne costituisce l’oggetto, secondo una prospettiva di tipo “reale”, riferita alle caratteristiche oggettive (costruttive e tipologiche in genere), che costituiscono il nucleo sostanziale della “destinazione ordinaria.
Di conseguenza, l’idoneità del bene a produrre ricchezza va ricondotta, prioritariamente, non al concreto uso che di esso venga fatto, ma alla sua destinazione funzionale e produttiva, che va accertata in riferimento alle potenzialità d’utilizzo purché non in contrasto con la disciplina urbanistica (Cassazione n. 2249/2021, n. 32868/2021, n. 28114/2023).
E ancora che, in tema di rendita catastale, nell’ipotesi in cui l’immobile per le proprie caratteristiche strutturali rientri in una categoria speciale, non assume rilevanza la corrispondenza rispetto all’attività in concreto svolta all’interno dello stesso che può costituire, ove ricorrente, mero elemento rafforzativo della valutazione oggettiva operata (Cassazione, sentenza n. 22103/2018, n. 13666/2020, n. 2249/2021, n. 10242/2023 e n. 21939/2024).
Pertanto, ai fini della classificazione di un immobile, occorre guardare alle caratteristiche strutturali dell’immobile stesso e non alla condizione del proprietario e al concreto uso che questi ne faccia (Cassazione n. 22166/2020).
Non rileva, quindi, né il carattere pubblico o privato della proprietà dell’immobile, né eventuali funzioni “sociali” svolte dal proprietario, mentre il fine di lucro merita di essere preso in considerazione, in quanto espressamente previsto come criterio di classificazione per numerose categorie (Cassazione, sentenza n. 34002/2019, n. 13666/2020, n. 2249/2021, n. 32868/2021 e n. 10242/2023).
Secondo la Cassazione, nel caso in esame, risulta irrilevante la circostanza che le attività socio-assistenziali e sanitarie svolte dalle contribuenti non potessero essere ritenute commerciali, in ragione della loro qualifica di Onlus e della copertura di «gran parte dei costi» da parte dell’Agenzia di Tutela della salute della Regione Lombardia (nel contesto del Servizio sanitario regionale), dal momento che il fine di lucro non incide sul piano della soggettività proprietaria, bensì su quello della idoneità strutturale e funzionale dell’immobile (con specifico riferimento ad Onlus, vedi Cassazione n. 24078/2020, n. 18842/2021, n. 21938/2023).
In conclusione, la sentenza impugnata non si è uniformata ai principi affermati, non avendo collegato l’attribuzione della categoria catastale alle caratteristiche intrinseche e oggettive degli immobili, né avendo accertato se gli immobili fossero strutturati e conformati (o meno) per esigenze di natura commerciale.