Gaza, quindici mesi di guerra: pressing internazionale per la tregua

ROMA – Almeno 46.584: è il numero delle persone palestinesi uccise nella Striscia di Gaza, di cui 12.329 alunni e studenti, mille operatori medico-sanitari, 300 umanitari e 160 giornalisti dal lancio dell’operazione militare israeliana. Sono invece 94 gli ostaggi israeliani ancora detenuti da Hamas. Cifre che raccontano una guerra che prosegue da oltre 15 mesi, mentre si intensificano i tentativi di raggiungere un cessate il fuoco. “Mai stati così vicini a un accordo”, hanno dichiarato esponenti del governo del Qatar, che a Doha ospita delegati sia di Tel Aviv che dell’organizzazione palestinese. Un’intesa che, come molti sperano, dovrebbe finalmente far tacere le armi, riportare a casa gli ostaggi israeliani e permettere alla popolazione di Gaza di pensare alla ricostruzione di un territorio grande appena 365 chilometri quadrati, ma che secondo le Nazioni Unite ha subito la distruzione di oltre i tre quarti di strade, infrastrutture ed edifici. Si tratta dell’operazione militare più violenta che Tel Aviv abbia mai condotto contro l’enclave palestinese, a seguito all’aggressione delle brigate al-Qassam – movimento armato alleato di Hamas – nel sud di Israele il 7 ottobre 2023, al culmine di decenni di conflitto: a sorpresa, decine di combattenti hanno preso d’assalto un festival di musica con centinaia di partecipanti anche stranieri, insieme ad alcuni villaggi e kibbutz.

Il bilancio è stato di oltre 1.200 morti e circa 250 persone prese in ostaggio, tra cui anche bambini e anziani. Questa azione, subito condannata dalla comunità internazionale a partire da Stati Uniti e Unione europea, ha portato il governo guidato dal premier Benjamin Netanyahu a lanciare un’operazione militare a Gaza volta a “sradicare una volta per tutte” la presenza di Hamas. Dopo innumerevoli attacchi a case, scuole, campi profughi e ospedali accusati di ospitare depositi di armi e combattenti palestinesi, alcune nazioni hanno iniziato a sostenere che il diritto di Israele a difendersi non possa implicare la violazione delle norme del diritto internazionale, a partire dagli attacchi indiscriminati sui civili e il blocco pressoché totale all’ingresso di cibo, acqua, medicinali, corrente elettrica e carburante. Il Sudafrica è arrivato al punto di denunciare Israele alla Corte internazionale di giustizia per crimini di genocidio, mentre a novembre la Corte penale internazionale ha deciso di spiccare un mandato di arresto internazionale contro Netanyahu per crimini di guerra e contro l’umanità, riconoscendo tra questi il reato di “affamare” intere comunità. Un fatto inedito per un primo ministro israeliano, anche se mandati analoghi hanno colpito anche i capi di Hamas, a partire da Yahya Sinwar. La vicenda ha spaccato sia l’opinione pubblica interna che le diplomazie straniere: se, ad esempio, il Congresso degli Stati Uniti ha votato sanzioni contro la Corte dell’Aia nel tentativo di annullare il mandato di arresto contro Netanyahu, è cresciuto ancora il numero di Paesi che hanno riconosciuto ufficialmente lo Stato di Palestina che comprenderebbe non solo Gaza ma anche i Territori occupati di Cisgiordania e Gerusalemme est.
Proprio in questi giorni la Norvegia sta ospitando una conferenza per realizzare la cosiddetta “soluzione dei due Stati”, prefigurata dai cosiddetti Accordi di Oslo del 1993, anche per porre fine alle crescenti violenze tra palestinesi residenti e coloni negli insediamenti israeliani illegali. In Israele invece un recente sondaggio condotto dal quotidiano israeliano Maariv rivela che il 74% degli intervistati auspica un cessate il fuoco per riportare a casa gli ostaggi in sicurezza, così come chiedono da mesi anche i familiari dei rapiti. (www.dire.it – Agenzia Dire)

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