Roma – L’indebita compensazione di crediti non spettanti o inesistenti si configura sia in caso di compensazione orizzontale concernente crediti e debiti di imposta di natura diversa, sia in caso di compensazione verticale di crediti e debiti per tributi omogenei. La cassazione con la sentenza n. 3374 ha respinto la tesi del contribuente secondo il quale il reato riguarda le sole ipotesi di compensazione verticale.
La Corte di cassazione, Sezione III penale, con la sentenza n. 3374/2025 ritorna sul tema dell’indebita compensazione dei debiti tributari, oggetto, tra l’altro di recenti interventi normative.
Le recenti politiche di agevolazione fiscale hanno reso particolarmente fluida la circolazione dei crediti fiscali, e conseguentemente molto comune il fenomeno della compensazione tributaria.
La compensazione è una modalità estintiva delle obbligazioni differente dall’adempimento (articoli 1241 – 1252 del codice civile), che viene in rilievo nelle ipotesi in cui due soggetti siano rispettivamente debitore e creditore l’uno dell’altro seppur in ragione di causali differenti.
Si definisce compensazione legale, in presenza di rispettivi crediti certi, liquidi ed esigibili; giudiziale, se dichiarata dal giudice in caso di crediti non liquidi, ma di pronta e facile liquidazione. Infine volontaria, se raggiunta in seguito ad accordo tra le parti.
In ambito tributario, al contribuente è data la facoltà di compensare debiti tributari con crediti risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche.
Nell’ambito della compensazione fiscale vi sono due macro aree: la compensazione “orizzontale” o “esterna”, in ragione della quale un soggetto può usare crediti di imposta per estinguere debiti anche di natura diversa rispetto a quella del credito usato (articolo 17, Dlgs n. 241/1997) e la compensazione “verticale” o “interna” nell’ipotesi in cui debiti e crediti compensati siano della stessa natura.
La compensazione dei crediti fiscali si fonda essenzialmente sul principio della dichiarazione, nella misura in cui inizialmente è il contribuente che dichiara l’esistenza e l’entità di un credito, ed in base alla mera dichiarazione ottiene immediatamente il beneficio consistente nello sgravio totale o parziale dell’imposta da versare. Successivamente si materializza l’interposizione dell’Ufficio, che a seguito dei controlli previsti dalle normative, verifica l’esistenza, la legittimità e l’entità del credito assunto in compensazione.
La crescente circolazione dei crediti fiscali ha comportato, in maniera non fisiologica, l’emersione sempre più frequente del fenomeno dell’indebita compensazione con crediti inesistenti o non spettanti.
La dicotomia tra le due tipologie di indebita compensazione, oltre ad avere una rilevanza teorica, assume una grande rilevanza pratica sia dal punto di vista sanzionatorio che per quanto attiene alla decadenza del potere di accertamento.
In materia è intervenuto di recente il legislatore con il Dlgs n. 87/2024 che ha distinto e definito il credito inesistente da quello non spettante, specificato il regime sanzionatorio dell’uno e dell’altro e il rispettivo termine decadenziale per l’esercizio del munus dell’Amministrazione finanziaria.
L’intervento legislativo è stato necessario in quanto nel corso degli anni si è acuito un forte contrasto dottrinale giurisprudenziale intorno alla sussistenza di una reale differenza tra le due tipologie di indebita compensazione.
Conflitto risolto dalla Corte di cassazione che con le sentenze a Sezioni unite n. 34419/2023 e n. 34452/2023 ha chiarito che le due tipologie di credito, inesistente e non spettante, sono strutturalmente distinte e logicamente alternative, in quanto nel primo caso manca il presupposto costitutivo del credito, non riscontrabile in sede di controllo automatizzato o semiautomatizzato; nel secondo caso invece vi è un utilizzo in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di legge.
La Cassazione con le menzionate pronunzie confermava anche la legittimità della prassi applicativa degli Uffici finanziari, sia in termini di regime sanzionatorio (30% per il credito non spettante, da 100% a 200% per quello inesistente) che in materia di decadenza del potere accertativo, di cinque anni per i crediti non spettanti (ex articolo 43 Dpr n. 600/1973) e otto anni per i crediti inesistenti (ex articolo 27, comma 16 del Dl n. 185/2008).
La novella legislativa ha consolidato il seguente quadro.
Si definisce credito inesistente quello per cui manchino, in tutto o in parte, i requisiti oggettivi o soggettivi indicati dalla norma di riferimento, anche in ragione di rappresentazioni fraudolente. L’utilizzo di un credito inesistente è punito con una sanzione pari al 70% del credito usato in compensazione, con ulteriore aumento dalla metà al doppio in caso di condotta fraudolenta, e soggiace al termine decadenziale di anni otto.
Si definisce, invece, credito non spettante quello fruito in violazione delle modalità di utilizzo previste dalla legge, o in maniera superiore, o per fatti non sussumibili nella previsione normativa. È punito con una sanzione del 25% del credito compensato e soggiace ad un termine decadenziale breve d cinque anni.
La legge sui reati tributari, Dlgs n. 74/2000, all’articolo 10 quater, disciplina e sanziona dal punto di vista penalistico le condotte di indebita compensazione. Anche tale previsione normativa è stata toccata dal Dlgs n. 87/2024 e subirà ulteriori modifiche dal 1° gennaio 2026.
Fatta questa doverosa premessa di carattere generale, il caso in esame scaturisce da un procedimento penale ove una persona fisica ritenuta responsabile, in due gradi di giudizio, del reato di indebita compensazione ex articolo 10 quater comma 2 del Dlgs n.74/2000, per aver utilizzato crediti Irap inesistenti in compensazione di debiti contributivi e previdenziali, ricorreva in Cassazione assumendo che il tenore letterale della normativa sanzionasse solamente le ipotesi di compensazione verticale.
Secondo la tesi di parte, la normativa in questione, essendo generica nel riferirsi a chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione crediti non spettanti (primo comma) o inesistenti (secondo comma), fosse riferibile solo alle ipotesi di compensazione “interna” o verticale, in quanto in caso contrario si sarebbe potuta paventare un’ipotesi di lesione del principio di legalità dei reati e delle pene sotto il profilo della tassatività della fattispecie di reato.
Ad ogni modo, il giudice di legittimità nel ripercorrere il granitico orientamento giurisprudenziale in materia, ha respinto le tesi del ricorrente ed ha ribadito che “il reato di indebita compensazione di crediti non spettanti o inesistenti si configura sia in caso di compensazione orizzontale concernente crediti e debiti di imposta di natura diversa, sia in caso di compensazione verticale riguardante crediti e debiti per tributi di natura omogenea.”.