Cessioni societarie, su operazioni elusive risponde l’amministratore di fatto

Cessioni societarie, su operazioni elusive risponde l’amministratore di fatto

La cessione fittizia della società a soggetti stranieri e il trasferimento della sede, compresa la nomina di nuovo amministratore, sono da ritenersi operazioni finalizzate all’elusione degli obblighi tributari. In tal caso, l’amministratore di fatto, che si è spogliato in modo fraudolento della carica sociale, non può invocare vizi nella notifica dell’accertamento.
Sono inopponibili al Fisco i mutamenti simulati della compagine sociale, compresa la nomina dell’amministratore. La prova della simulazione è a carico dell’Amministrazione finanziaria, che può avvalersi anche di presunzioni, purché gravi, precise e concordanti. Questo è il principio di diritto espresso dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 3610 del 12 febbraio 2025.

La vicenda processuale
Il contenzioso ha origine da un controllo fiscale su una società a responsabilità limitata con un unico socio, dal quale emergeva che la società contribuente non aveva presentato le dichiarazioni dei redditi dal 2007 in poi, nonostante la cessione di diversi immobili.
Le successive indagini hanno rilevato che l’amministratore aveva trasferito la sede della società, nominando contestualmente un nuovo amministratore di cittadinanza straniera, che aveva acquisito metà del capitale sociale, mentre l’altra metà, sempre contestualmente, era stata rilevata da un suo connazionale.
Tuttavia, l’erroneità del codice fiscale del secondo acquirente, l’inesistenza della società presso il nuovo indirizzo, nonché il trasferimento della residenza del precedente amministratore e socio unico all’estero, hanno indotto a ritenere che l’intera operazione di modificazione societaria fosse fittizia e mirata a sottrarsi agli obblighi tributari.
Sulla base di queste evidenze, l’ufficio, non trovando il legale rappresentante della società, ha notificato un avviso di accertamento al contribuente, ritenendolo amministratore di fatto e responsabile di una frode tributaria, il quale ha impugnato l’atto, sostenendo la propria estraneità ai fatti e l’irritualità della notifica.
Ciò nonostante, sia la Commissione tributaria provinciale che quella regionale hanno respinto le sue difese, affermando che tutti gli elementi raccolti dall’ufficio provavano il carattere fittizio tanto della successione nell’amministrazione societaria che del trasferimento di sede.
Pertanto, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidandosi a tre motivi di impugnazione: con il primo ha denunciato la violazione ed errata applicazione delle norme in materia di notificazione alle persone giuridiche (articolo 145 cpc) e l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia relativo alla eccepita carenza di legittimazione passiva; con il secondo ha rilevato l’omesso preventivo contraddittorio, in violazione dell’articolo 12, settimo comma, dello Statuto del contribuente (legge n. 212/2000); con il terzo ha dedotto la violazione ed errata applicazione delle norme in materia di motivazione dell’atto impositivo (articoli 7 e 12 dello stesso Statuto).

La pronuncia
La Corte suprema ha rigettato il ricorso proposto dal contribuente, in conseguenza della ritenuta infondatezza di tutti i motivi di impugnazione, confermando, quindi, la legittimità dell’avviso di accertamento e della relativa notifica.
Per quel che attiene al primo motivo di impugnazione, i giudici di legittimità hanno chiarito che, di regola, l’amministratore di fatto di una società non è legittimato a ricevere la notificazione dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società, in quanto, ai sensi degli articoli 145 cpc e 60 Dpr n. 600/1973, la notifica alle persone giuridiche deve essere eseguita mediante consegna dell’atto alla persona che rappresenta legalmente l’ente (ovvero ad altri soggetti legittimati indicati dalle norme).
Tuttavia, in caso di spoliazione fraudolenta della carica di amministratore, al solo scopo di sottrarsi agli obblighi tributari, continua a essere considerato reale gestore della società ai fini fiscali colui che in concreto dirige la società.In tal caso, l’Amministrazione finanziaria può notificare l’atto impositivo direttamente a chi è stato ritenuto il vero artefice della frode, indipendentemente dalle risultanze formali dei registri societari.
Al riguardo,la Corte ha, dunque, affermato che, in materia tributaria “sono inopponibili al fisco i mutamenti simulati della compagine sociale, compresa la nomina dell’amministratore. La prova della simulazione è a carico dell’amministrazione finanziaria, che può avvalersi anche di presunzioni, purché gravi, precise e concordanti”.
Sulla prospettata violazione dell’articolo 12, settimo comma, della legge n. 212/2000, i giudici di legittimità hanno ribadito che, per i tributi “armonizzati” (rientranti nella sfera di competenza dell’Unione europea e investiti dalla diretta applicazione del relativo diritto, tra cui l’Iva attinente al caso in oggetto) la violazione del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione può comportare, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente dimostri in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato preventivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio) non abbia uno scopo meramente dilatorio o pretestuoso. Nel caso concreto, è stato rilevato che il contribuente nulla ha avanzato in merito, e che l’amministratore, anche di fatto, non può lamentare la lesione del diritto di difesa per non aver ricevuto la notificazione di un atto idoneo all’istaurazione del contraddittorio preventivo, in quanto, si deve ritenere che fosse comunque a conoscenza di ogni vicenda riguardante la società.
Mentre, per i tributi “non armonizzati” (estranei alla sfera di competenza del diritto dell’Unione europea, ad esempio Irpef, Ires e Irap), è stato chiarito che l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito.
Infine, relativamente al terzo motivo di impugnazione, la Corte suprema ha ricordato che l’ufficio può motivare l’atto impositivo richiamando il verbale della Guardia di Finanza se ne condivide le conclusioni e, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, ciò non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio. Non è necessaria una rivalutazione autonoma da parte dell’Amministrazione se vi è un rinvio chiaro e sufficiente alla fonte dell’accertamento.

Osservazioni
La sentenza in commento tutela l’interesse erariale contro le operazioni elusive, confermando che il Fisco può disconoscere operazioni societarie fittizie e ritenere responsabile il soggetto che, di fatto, ha continuato a gestire l’impresa con lo scopo di evadere i tributi. Il principio espresso ha particolare rilievo in materia di frode fiscale e abuso del diritto, fornendo un chiaro indirizzo giurisprudenziale per i futuri casi di spoliazione fraudolenta della carica sociale.
Nella relativa motivazione vengono poi richiamati anche alcuni significativi precedenti della stessa Corte di cassazione, tra cui la sentenza delle sezioni unite civili n. 24823/2015, avente a oggetto il contraddittorio endoprocedimentale in campo tributario previsto dal descritto articolo 12, settimo comma, dello Statuto del contribuente, abrogato, con decorrenza dal 18 gennaio 2024, dall’articolo 1, lettera o) del Dlgs n. 219/2023, come logica conseguenza dell’introduzione del contraddittorio generalizzato regolato dal vigente articolo 6-bis della legge n. 212/2000, rubricato “Principio del contraddittorio”.

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